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Liste d’attesa: il decreto è legge, ma la soluzione vera resta lontana

Il Decreto liste d’attesa è diventato legge. Ottenuto nelle scorse settimane – dopo quello del Senato – anche il via libera della Camera (171 i sì, 122 i no, non certo un’approvazione unanime), il provvedimento promette novità sul fronte dei tempi di attesa per visite ed esami diagnostici, visite mediche anche nei fine settimana, l’istituzione di CUP (Centri Unici di Prenotazione) regionali unici dove ancora mancano, e alcune misure aggiuntive che finiranno inevitabilmente per avere ripercussioni sul personale di stanza nella Sanità pubblica. 
Per quanto riguarda le novità più “vistose”, da citare è innanzitutto la prevista piattaforma nazionale per le liste d'attesa, per cui i CUP (finora sono solo 13 le Regioni che hanno attivato il Centro Unico di Prenotazione che risponde a un solo numero di telefono proponendo al cittadino – appunto - prestazioni su scala regionale) dovranno avere in agenda, accento alle prestazioni offerte dalla Sanità pubblica, anche quelle messe a disposizione dal privato convenzionato, in modo da offrire alternative al paziente in caso di mancato rispetto dei tempi prescritti prevedendo in sostanza, una volta a regime, un sistema per garantire al cittadino tempi certi per le prestazioni mediante ricorso a intramoenia o privato. I controlli sulle Asl resteranno – come ora – di competenza delle Regioni, ma in più il Ministero della Salute avrà poteri sostitutivi in caso di inadempienze. E a partire dal 2025 il tetto di spesa per il personale sanitario sarà sostituito da un nuovo metodo per stabilirne il fabbisogno.
Il provvedimento, assai controverso, prende le mosse dalla situazione obiettivamente difficile in cui versano le liste d’attesa del Servizio Sanitario Nazionale: problemi ce ne sono in tutta Italia, a seconda delle specialità e degli ospedali; e poi ci sono i casi limite, come quelli citati da CittadinanzaAttiva in un’indagine resa pubblica qualche giorno fa: all'Azienda Universitaria Friuli Centrale l’attesa media per  per un'ecografia addome è di 498 giorni (quasi un anno e mezzo), di 394 giorni quella per una visita ginecologica programmabile; e 427 sono i giorni che in media è necessario aspettare all’Azienda Sanitaria 3 Ligure per una visita cardiologica programmabile.
A fronte dei tanti problemi, tra picchi di disservizio e qualche sempre più rara isola felice, il Decreto prevede la garanzia delle prestazioni al cittadino attraverso l'apertura a centri accreditati o convenzionati dietro il solo pagamento del ticket e senza il versamento di quote aggiuntive. Per facilitare le cose, visite diagnostiche e specialistiche verranno inoltre estese alle giornate di sabato e domenica, con la possibilità anche di un ampliamento delle fasce orarie di erogazione delle prestazioni. Verrà istituito un CUP unico regionale ovunque non sia ancora presente, in modo da facilitare le prenotazioni “ad ampio spettro” sia su scala locale che sul fronte della modalità della prestazione. E sarà inoltre estesa a tutta Italia la norma per cui, ricevuto dal CUP un “memo” della prestazione prenotata 48 ore prima della stessa, chi non si presenterà senza aver disdetto nei tempi previsti, dovrà pagare comunque il ticket.
Infine, per restare alle macro-novità, per invogliare medici e dirigenti sanitari a fare gli straordinari (sabati, domeniche e fasce orarie estese andranno pur coperte, dato che al momento non viene previsto alcuno stanziamento per l’ assunzione di personale sanitario, ma ci si limita ad abolire dai contratti l’esclusiva, e ad autorizzare assunzioni solo entro i limiti di spesa in vigore) viene introdotta un'imposta sostitutiva del 15% - invece delle aliquote marginali dell'Irpef in vigore, che arrivano anche al 43% - sui compensi per le prestazioni aggiuntive svolte. In sostanza, viene introdotta una flat tax sugli straordinari, che nelle intenzioni del Governo dovrebbe incentivare il personale sanitario ad ampliare la disponibilità, facilitando così la riduzione dei tempi d’attesa per i pazienti.
Last but not least, il ruolo di Agenas: sarà infatti l’Agenzia per i servizi sanitari a dover gestire la nuova piattaforma nazionale delle liste di attesa, sovrintendendo al monitoraggio e alla misurazione delle prestazioni su tutto il territorio italiano, sia per il sistema pubblico che per i privati. E sul sito dell’Agenzia, a regime, sarà possibile vedere il prospetto aggiornato dei tempi di attesa per ogni prestazione, suddivisa per Regione.
Anche la programmazione dell’offerta sanitaria sarà effettuata in base alla situazione mostrata dalla piattaforma nazionale, e ove l’Agenas verificasse inefficienze o anomalie nella gestione delle agende, potrebbe verificare il corretto funzionamento del sistema attraverso meccanismi di audit nei confronti delle singole aziende sanitarie.
Se sulla carta è dunque possibile prevedere qualche utilità del decreto per il cittadino, troppo spesso alle prese con liste d’attesa estenuanti e pericolose, restano aperti i problemi per la classe medica e dei sanitari in generale: c’è il dubbio che il decreto, infatti, finisca per favorire ulteriormente il settore privato a scapito del pubblico, e certamente non risolve in modo strutturale il problema delle liste d’attesa: per avvicinarsi a quell’obiettivo, servirebbero una percentuale maggiore del PIL investita nella Sanità a livello triennale, nuove assunzioni nel pubblico e condizioni di lavoro migliori per il personale sanitario nel suo insieme. Ma di provvedimenti del genere, per ora, non c’è traccia, e la situazione – soprattutto per le fasce deboli della popolazione e le Regioni del Sud, già assai penalizzate – rischia di non migliorare granché.
(Per approfondimenti, il testo completo del Decreto è in allegato).

 

Alessandra Rozzi
Ufficio Stampa AIPO-ITS/ETS