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BPCO, innovazione e lavoro di squadra al San Donato di Arezzo

Nel 2015 la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) ha causato nel mondo 3,17 milioni di morti, il 5% dei decessi a livello globale.
La causa principale della BPCO è l’esposizione al fumo di sigaretta, sia quello attivo che quello passivo.

Le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) parlano di un progressivo aumento di incidenza della malattia a causa dell’invecchiamento della popolazione e della diffusione dell’abitudine tabagica.

Ma vediamo cosa accade all’Ospedale San Donato di Arezzo dove, a fronte di 20 mila pazienti affetti da BPCO, la Pneumologia e l’Unità di Terapia Intensiva Polmonare (UTIP) da anni compiono grandi sforzi per gestire al meglio la patologia. Il team di professionisti non è composto solo da medici ma anche da infermieri e fisioterapisti.

 La diagnosi di BPCO viene fatta presso i laboratori di fisiopatologia respiratoria. Qui gli infermieri eseguono i test volti a diagnosticare e valutare la gravità della patologia.

“La malattia si manifesta a partire dai 50 anni con il massimo picco di incidenza tra i 60 e i 75, ma a volte i casi vengono diagnosticati anche prima, specie in forti fumatori – spiega il direttore della Pneumologia e UTIP del San Donato e membro del Comitato Esecutivo dell’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO), Raffaele Scala – Bisogna sospettare la BPCO quando, specie in soggetti a rischio cioè forti fumatori, è presente tosse con catarro per 3 mesi all’anno da almeno 2 anni. Quando viene riferita difficoltà respiratoria durante le attività fisica, la malattia è già in una fase più avanzata. Purtroppo, tosse e catarro vengono considerati come disturbi normali dal fumatore e questo ritarda la diagnosi e la terapia”.

Numerosi fattori concorrono a fare della Pneumologia di Arezzo uno dei centri di riferimento in Italia per la cura della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Innanzitutto, la presenza di quattro posti letto presso l’Unità di Terapia Intensiva Polmonare (UTIP). Questo garantisce le condizioni migliori per gestire un’insufficienza respiratoria grave dovuta a riacutizzazioni di BPCO. Inoltre, quando necessario, si applica una nuova tecnica chiamata “decapneizzaione” che consente la rimozione extracorporea di eccesso di anidride carbonica.

All’interno del reparto di Fisiopatologia Respiratoria è stato poi attivato un servizio di carattere educazionale volto a formare il paziente al corretto uso dell’inalatore in regime domiciliare.

“Altra peculiarità della Pneumologia di Arezzo è la figura dell’infermiere case manager” spiega Raffaele Scala. “Nel caso specifico l’infermiere, adeguatamente formato, si occupa dell’assistenza di pazienti cronici (molti con BPCO) in trattamento con ossigeno e ventilazione meccanica attraverso programmi di telemedicina che consentono di tenere costantemente monitorato lo stato di salute del paziente anche quando questo si trova presso il proprio domicilio. Questa nuova figura professionale si configura un po’ come un canale di comunicazione fra l’ospedale e il domicilio del paziente. Si tratta di un servizio di vera e propria teleassistenza reso possibile grazie ai fondi del Comitato Autonomo Lotta Contro i Tumori (CALCIT) di Arezzo e approvato dalla Fondazione Cesalpino” conclude il Direttore.

Ufficio Stampa AIPO