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Gli ascessi polmonari sono un tipo severo di polmonite che si caratterizza per la distruzione del parenchima polmonare e la formazione di una cavità piena di pus o necrosi.
Il drenaggio percutaneo con tubo è stato descritto per la prima volta nel 1938 per il trattamento delle cavità polmonari tubercolari (1). In seguito, e fino all’arrivo dell’era antibiotica, fu usato abitualmente nella gestione degli ascessi polmonari divenendo il trattamento di scelta (2). Con l’introduzione dell’antibioticoterapia, questa procedura ha tuttavia lasciato il posto alla terapia medica, che nell’80-90% dei casi si rivela efficace; questa terapia conservativa, però, occasionalmente fallisce (3). Ciò può essere dovuto alla virulenza dei patogeni responsabili, al mancato raggiungimento di un’adeguata concentrazione di antibiotici nella cavità ascessuale e/o alla gravità della malattia polmonare sottostante che può avere un ruolo nella incapacità della cavità di drenare spontaneamente (4). Quando il trattamento medico fallisce, la resezione polmonare è di solito consigliata, ma i tassi di mortalità per ascessi polmonari continuano ad essere significativi anche con la terapia chirurgica (dal 15 al 20%) (5). Una terapia alternativa in questo contesto è il drenaggio con un tubo percutaneo. Attualmente, il ruolo del drenaggio percutaneo negli ascessi polmonari rimane controverso. Questa procedura è stata riportata principalmente in pazienti gravemente malati, che non sono in grado di tollerare la lobectomia.
In merito ai drenaggi percutanei degli ascessi, non sono mai stati pubblicati trial randomizzati e la letteratura è rappresentata da case report o case serie.
L’indicazione principale al drenaggio degli ascessi è il fallimento della terapia medica, in particolare nei pazienti non candidabili ad intervento chirurgico; cionondimeno, diversi studi hanno riportato un numero maggiore di complicanze con il trattamento chirurgico (rispetto al posizionamento di drenaggi) nonostante questi pazienti generalmente siano meno fragili di quelli ai quali viene posizionato il drenaggio stesso. Maggiore aggressività è consigliata nei pazienti con ascessi di maggiori dimensioni.
I drenaggi percutanei possono essere posizionati con guida ecografica, radioscopica o TAC. Possono essere considerati adeguati i tubi di calibro compreso tra 10 e 14 Ch. Le principali complicanze sono lo pneumotorace, l’emotorace, l’emottisi, la contaminazione del cavo pleurico (con comparsa di empiema) e la fistola broncopleurica (6).
In alternativa ai drenaggi percutanei, sono stati proposti in letteratura drenaggi di ascessi polmonari per via endoscopica. I primi a descrivere questa procedura sono stati Metras e Chapin nel 1954 (7). Da allora, la letteratura riporta oltre 50 casi. La scelta della procedura endoscopica (in alternativa a quella transtoracica) può essere dovuta a coagulopatie, alla posizione centrale dell’ascesso o a strutture anatomiche che impediscano l’accesso alla cavità. Il drenaggio endoscopico richiede una broncoscopia flessibile, che indirizza il posizionamento di un catetere pig tail che viene poi fissato al naso e attraverso il quale vengono effettuati lavaggi con soluzione fisiologica (6). E’ stato proposto anche l’utilizzo del laser, con il quale perforare la parete dell’ascesso e formare un percorso in cui inserire il catetere (8).
Negli ultimi anni, sono state poste in commercio delle guaine guida (guide sheath) per l’ecoendoscopia, che hanno la finalità di migliorare il campionamento dei noduli una volta identificati con la minisonda EBUS radiale. Takaki e collaboratori hanno recentemente pubblicato tre dei quattro casi in cui hanno trattato con questo presidio degli ascessi polmonari. La procedura è stata effettuata in sedazione con meperidina e midazolam, posizionando la guide sheath sotto guida fluoroscopica; sulla guaina, erano stati precedentemente confezionati due piccoli buchi (1,5 x 2 mm) posti in senso diagonale. Una volta confermato con l’EBUS radiale che la guaina era nella sede dell’ascesso, il pus veniva aspirato manualmente attraverso la guaina stessa e l’ascesso veniva lavato con soluzione fisiologica senza lasciare catetere in sede. Il lavaggio si rendeva difficoltoso a causa della viscosità del pus. Il trattamento non presentava complicanze (in particolare né emoftoe né spandimento dell’infezione in altre sedi) e i pazienti andavano incontro ad esito favorevole e gli esiti microbiologici del materiale aspirato potevano indirizzare la successiva antibioticoterapia.
La descrizione di questi casi ci offre l’occasione per considerare il trattamento evacuativo degli ascessi polmonari nei casi in cui l'antibioticoterapia non risulti efficace e/o sufficiente; l’approccio transparietale può non essere l’unico da tenere in considerazione.
 

Bibliografia

  1. Neuthof H, Touroff ASW. Acute putrid abscess of the lung. Hyperacute variety. J Thorac Surg 1942;12:98-106.
  2. Monaldi V. Endocavitary aspiration in the treatment of lung abscess. Dis Chest 1956;29:193-201.
  3. Shim C, Santas GH, Zelefsky M. Percutaneous drainage of lung abscess. Lung 1990;168:201-7.
  4. Mwandumba HC, Beeching NJ. Pyogenic lung infection. Factors for predicting clinical outcome of lung abscess and thoracic empyema. Curr Opin Pulm Med 2000;6:234-9.
  5. Hirshberg B, Sklair-Levi M, Nir-Paz R, et al. Factors predictiong mortality of patients with lung abscess. Chest 1999;115:746-50.
  6. Wali SO. An update on the drainage of pyogenic lung abscesses. Ann Thorac Med 2012;7:3-7.
  7. Metras H, Chapin J. Lung abscess and bronchial catheterization. J Thorac Surg 1954;27:157-9.
  8. Shlomi D, Kramer MR, Fuks L, et al. Endobronchial drainage of lung abscess: the use of laser. Scand J Infect Dis 2010;42:65-8.