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Le bronchiectasie costituiscono una patologia tanto complessa quanto eterogenea dal punto di vista eziologico, microbiologico e radiologico, che necessita pertanto di un diversificato e specifico approccio anche dal punto di vista terapeutico. Tale eterogeneità trova spiegazione nell’identificazione di specifici endotipi, sottotipi di malattia che presentano meccanismi biologici distinti e che possono essere collegati a differenti fenotipi, outcomes clinici e risposta al trattamento. Peraltro, l’identificazione di tali endotipi, anche grazie all’avvento di modelli di dati biologici come la “multi-omica”, contribuirebbe a una migliore delineazione del pathway infiammatorio e all’identificazione dei “tratti trattabili”, e dunque allo sviluppo di una terapia personalizzata.
In questo articolo di revisione narrativa (1), Martins e coautori effettuano una rassegna descrittiva dei potenziali endotipi di malattia nelle bronchiectasie, fornendo interessanti spunti di ricerca e di pratica clinica.
In particolare, sono anzitutto descritte una serie di comorbidità associate alle bronchiectasie, che rappresentano potenziali endotipi suscettibili di trattamento specifico. Tra queste, troviamo ad esempio malattie polmonari ostruttive come asma e BPCO, patologie dello spettro gastroenterologico come la malattia da reflusso gastroesofageo, le malattie infiammatorie intestinali, le sindromi da immunodeficienza, malattie genetiche come il deficit di alfa 1 antitripsina, la discinesia ciliare primitiva, le malattie del tessuto connettivo e le malattie autoimmuni sistemiche. L’identificazione di una tra queste comorbidità associate alle bronchiectasie consente di intraprendere una terapia personalizzata che potrebbe talora garantire un rallentamento della progressione del danno strutturale polmonare e dunque delle bronchiectasie.
A conferma della centralità dell’infiammazione e dell’infezione delle vie aeree nella fisiopatologia delle bronchiectasie, negli ultimi anni è emerso il ruolo della disbiosi microbica: a contribuire alla progressione della patologia sarebbero più la perdita della diversità microbica e la dominanza di specifici microrganismi nel microbioma, piuttosto che l’infezione cronica da batteri patogeni. Studi condotti sul microbioma dell’espettorato hanno evidenziato un complesso milieu di organismi, inclusi batteri, virus, funghi che potenzialmente interagiscono con le vie aeree dei bronchiectasici, il che potrebbe spiegare l’eterogeneità intrinseca e il differente decorso clinico osservato tra i pazienti (2). Una considerazione fondamentale riguarda l’influenza dell’uso frequente di antibiotici sull’omeostasi microbica, responsabile dell’alterazione non solo dei microbi e della rete di interazioni microbiche, ma anche dell’incremento delle resistenze. Proseguendo nell’identificazione di specifici endotipi infettivi, diventa dunque fondamentale la caratterizzazione del microbioma. Ad esempio, Pseudomonas aeruginosa, il patogeno più comunemente identificato, si associa ad aumento della frequenza di riacutizzazioni, rischio di ricovero ospedaliero e peggiore qualità di vita, e aumento della mortalità. Di conseguenza, i pazienti con infezione cronica da P. aeruginosa sono identificati come un fenotipo distinto con scarsi outcomes. Tra gli altri batteri comunemente riscontrati nei pazienti bronchiectasici si trova H. influenzae, associato a perdita della diversità microbica e alla formazione di NETs (trappole extracellulari dei neutrofili), così come specifici incrementi nelle metalloproteinasi della matrice MMP2 e MMP8. Meno nota è la relazione esistente tra S. aureus e le bronchiectasie non da fibrosi cistica; tuttavia, non sembrerebbe costituire un fattore di rischio indipendente per malattia severa nei bronchiectasici, mentre S. maltophilia spesso si associa ad esiti peggiori. I virus respiratori come coronavirus, rhinovirus e influenza A e B sembrano giocare un ruolo cruciale nello scatenare le riacutizzazioni di bronchiectasie, nonostante non sia stata identificata alcuna associazione significativa tra i virus respiratori comuni e gli outcomes clinici.
I pazienti con bronchiectasie mostrano alti tassi di isolamento fungino e persistenza nelle secrezioni respiratorie, e in particolare l’Aspergillus costituisce il fungo maggiormente caratterizzato nei pazienti bronchiectasici, mentre Candida rimane il più frequentemente riscontrato. I micobatteri non tubercolari si inseriscono ampiamente in tale capitolo in quanto potenziale causa o conseguenza delle bronchiectasie, e con un’incidenza della malattia polmonare da NTM in crescita globale. Inoltre, pazienti con NTM spesso hanno coinfezione da P. aeruginosa e malattia polmonare da Aspergillus, il che suggerisce che possa esserci una suscettibilità condivisa alle diverse infezioni.
Ultima ma non meno importante, la distinzione tra gli endotipi infiammatori di malattia, e in particolare tra l’infiammazione neutrofilica ed eosinofilica.
L’infiammazione neutrofilica sembrerebbe essere il pattern predominante di infiammazione nelle bronchiectasie. Tuttavia, i neutrofili nelle bronchiectasie sono disfunzionali, e predispongono a incrementato rilascio di proteasi, a un’alterazione dell’equilibrio proteasi-antiproteasi e in ultimo al fallimento della clearance del patogeno. Anche l’eccessiva formazione di NETs è stata identificata come un meccanismo-chiave, in grado di portare a danno tissutale e infiammazione persistente delle vie aeree. Inoltre, i NETs rilasciano grandi quantità di enzimi tra cui l’elastasi neutrofilica (NE), che determina degranulazione dei neutrofili, alterata clearance batterica e ipersecrezione di muco; tutto ciò si associa a declino del FEV1, infezione cronica da P. aeruginosa, alto tasso di riacutizzazione e rischio di mortalità. Da qui, gli endotipi basati sui NETs o sulla NE sembrano promettenti, in quanto possono rappresentare obiettivi di potenziali terapie mirate, fra cui il brensocatib, inibitore reversibile della dipeptidil peptidasi1 (DPP1), enzima responsabile dell’attivazione delle serin proteasi tra cui la NE, è tutt’ora in fase di studio (3).
D’altra parte, sono sempre più riconosciute risposte Th2 mediate nei pazienti bronchiectasici. Questo endotipo, definito dalla presenza di una conta eosinofilica su sangue periferico≥300 cellule/microL o FeNO≥25 ppb, è stato descritto in circa il 20-30% dei pazienti bronchiectasici senza asma. Inoltre, tale conta eosinofilica si associa a profili di microbioma dominati da S. pneumoniae e P. aeruginosa e a un fenotipo di frequente riacutizzatore. È stato dunque suggerito che i corticosteroidi inalatori possano ridurre il tasso di riacutizzazione e migliorare la qualità di vita in pazienti con bronchiectasie, e che gli eosinofili periferici possano fungere da biomarcatori in grado di identificare i responders agli ICS o alle terapie biologiche, ad esempio con anti IL-5 secondo un approccio di medicina di precisione (4,5).
Nonostante la risposta infiammatoria presente nei bronchiectasici sia predominante a livello polmonare, è emerso che spesso è presente anche un alto livello di infiammazione sistemica, come evidenziato dalla trombocitosi, associata a severità di malattia, ricoveri ospedalieri, scarsa qualità di vita e mortalità, e da elevati livelli della proteina C reattiva (PCR), che si associano peraltro a un rischio maggiore di future riacutizzazioni severe in pazienti con bronchiectasie in fase di stabilità clinica; inoltre, i pazienti che presentano alti livelli di PCR sarebbero anche maggiormente responsivi alla terapia a lungo termine con macrolidi.
È verosimile, inoltre, che nei prossimi anni lo sviluppo della strategia di sequenziamento genomico completo possa portare a maggiore comprensione delle cause genetiche di bronchiectasie e a reinterpretare le diagnosi di “bronchiectasie idiopatiche” alla luce della maggiore comprensione dei meccanismi di patogenesi sottostanti. Ad esempio, il deficit di MBL (lectina legante il mannosio) è relato a severità di malattia nelle bronchiectasie, così come la secrezione di glicani α-1,2-fucosilati.
In conclusione, la review di Martins et al. (1) pone l’accento sull’eterogenea natura delle bronchiectasie e sull’importanza dell’identificazione di specifici endotipi, che a loro volta possono rappresentare differenti “tratti trattabili” del paziente affetto da bronchiectasie non-FC. Inoltre, le più recenti tecnologie omiche potrebbero aiutarci a definire i pathway biologici che portano all’infiammazione delle vie aeree e alla progressione di malattia, in maniera tale da identificare nuovi biomarcatori di malattia e sviluppare terapie sempre più personalizzate.

Bibliografia:

  1. Martins M, Keir HR, Chalmers JD. Endotypes in bronchiectasis: moving towards precision medicine. A narrative review. Pulmonology 2023;29:505-17.
  2. Richardson H, Dicker AJ, Barclay H, et al. The microbiome in bronchiectasis. Eur Respir Rev 2019;28:190048.
  3. Chalmers JD, Haworth CS, Metersky ML, et al. Phase 2 Trial of the DPP-1 Inhibitor Brensocatib in Bronchiectasis. N Engl J Med 2020;383:2127-37.
  4. Aliberti S, Sotgiu G, Blasi F, et al. Blood eosinophils predict inhaled fluticasone response in bronchiectasis. Eur Respir J 2020;56:2000453.
  5. Oriano M, Gramegna A, Amati F, et al. T2-high endotype and response to biological treatments in patients with bronchiectasis. Biomedicines 2021;9:772.