Usando questo sito si accetta l'utilizzo dei cookie per analisi, contenuti personalizzati e annunci.

La dispnea da sforzo, accompagnata da un’iperattivazione del centro respiratorio neurale, rappresenta una chiave fondamentale sia nelle patologie cardiache che respiratorie (1). Saper discriminare tra le due condizioni costituisce oggi una grande sfida per i clinici coinvolti. Tra le caratteristiche fisiopatologiche utili a comprendere le differenze c’è il relativo contributo dell’anormale attività meccanica respiratoria tipica delle malattie respiratorie.
Il test da sforzo cardio-polmonare (CPET) è il test di scelta per la valutazione delle condizioni cardio-respiratorie che causano limitazione allo sforzo, ma spesso si riscontrano anomalie sovrapposte che rendono più difficoltosa la distinzione. In tale contesto è importante sottolineare che il livello di dispnea viene espresso con la scala di Borg (0-10 ratio) in funzione del grado di lavoro (WR - Work Rate). La relazione dispnea-Ventilazione (VE) è più complessa e può fornire ulteriori informazioni. Pertanto se un paziente non presenta meccanica respiratoria anomala (es. patologie cardiache), la dispnea può essere valutata attraverso un incremento di VE (2) che assumerebbe comportamento simile a quello di un soggetto normale. Contrariamente nel soggetto pneumopatico si riscontrerebbe un incremento maggiore del livello di dispnea rispetto a quello di VE (3).
In questa prova di concetto sono stati arruolati due gruppi di pazienti, 14 con patologie cardiache in assenza di alterata meccanica ventilatoria (scompenso cardiaco con ridotta FE) e viceversa 14 pazienti pneumopatici con Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) e  alterata meccanica ventilatoria. Il gruppo di controllo era rappresentato da 10 pazienti con stessa età e genere, esenti da patologie cardio-respiratorie. In ogni paziente sono stati condotti: CPET incrementale al cicloergometro, scala di Borg, valutazione dolore agli arti inferiori, misurazione della pressione esofagea e variazione dei volumi polmonari nel corso del test.
I pazienti BPCO hanno mostrato valori di FEV1 minori, ma maggiore FE rispetto ai pazienti con scompenso cardiaco (CHF); nel corso del test, VE per un certo WR (VE/WR) risultava maggiore nei pazienti patologici rispetto al gruppo di controllo (p < 0,05). Il rapporto dispnea-WR ha mostrato incremento maggiore nei pazienti BPCO, mentre quello dispnea-VE ha evidenziato differenza di crescita in favore della dispnea solo dopo 20 minuti e sempre nei pazienti BPCO. L’incremento della relazione dispnea-VE coincideva con la diminuzione della capacità inspiratoria (IC) nel corso del test fino al suo punto inferiore.
Il volume corrente non ha mostrato differenze rilevanti tra i 2 gruppi mentre la pressione esofagea risultava maggiore tra i pazienti con BPCO.  La dispnea per un dato sforzo inspiratorio non variava tra i 3 gruppi (compreso il controllo), mentre lo sforzo agli arti inferiori risultava maggiore nei 2 gruppi patologici.
È stata così confermata l’ipotesi che tracciando la dispnea a confronto con VE e carico di lavoro (WR) è possibile associare ai pazienti con BPCO un incremento maggiore nel rapporto dispnea-VE (4). Pertanto il livello di dispnea aumentava rispetto alla ventilazione perché l’atteso aumento del drive respiratorio non poteva essere tradotto in un correlato aumento della VE, a causa della diminuzione del volume di riserva inspiratorio e quindi della capacità inspiratoria (5). Tutto ciò conduce a pensare che l’aumento eccessivo della dispnea si traduceva nella difficoltà di sopportare l’esercizio soprattutto nei pazienti incapaci di espandere i volumi polmonari.
L’implicazione clinica di questo contesto si può ricondurre all’utilità di intercettare i pazienti maggiormente pneumopatici o cardiopatici attraverso la valutazione dei rapporti dispnea-VE e dispnea-WR, da confrontare sempre con i parametri fisiologici. Pertanto un maggior incremento di dispnea rispetto alla VE e WR è tipica dei pazienti respiratori, mentre un incremento di dispnea rispetto a WR, ma non rilevante rispetto a VE, è piuttosto proporzionale al drive respiratorio in assenza di deficit nella meccanica respiratoria, quindi prerogative dei pazienti cardiopatici.
In conclusione la valutazione della dispnea da sforzo secondaria a malattia cardiaca o respiratoria può essere elaborata ottenendo le relazioni dispnea-VE e dispnea-WR; un importante incremento della dispnea come funzione di VE espone a probabile presenza di anomalie della meccanica ventilatoria, requisito fondamentale dei pazienti con patologia cronica funzionale respiratoria.

 

Bibliografia 

  1. Mahler DA, O’Donnell DE. Recent advances in dyspnoea. Chest 2015;147:232-41.
  2. O’Donnell DE, Elbehairy AF, Berton DC, et al. Advances in the evaluation of respiratory pathophysiology during exercise in chronic lung disease. Front Physiol 2017;8:82.
  3. O’Donnell DE, Laveneziana P. Dyspnoea and activity limitation in COPD: mechanical factors. COPD 2007;4:225-36.
  4. O’Donnell DE, Elbehairy AF, Faisal A, et al. Exertional dyspnoea in COPD: the clinical utility of cardiopulmonary exercise testing. Eur Resp Rev 2016;25:333-47.
  5. Faisal A, Alghamandi BJ, Ciavaglia CE, et al. Common mechanism of dyspnea in chronic interstitial and obstructive lung disorders. Am J resp Crit Care Med 2016;193:299-309.