Usando questo sito si accetta l'utilizzo dei cookie per analisi, contenuti personalizzati e annunci.

Le bronchiectasie sono una problematica clinica di non facile approccio: difficile seguirne l’andamento, la risposta alle terapia, il rischio di riacutizzazioni. Nonostante alcuni limiti (l’esiguità del campione, il limitato follow-up e l’utilizzo di alcuni valori di riferimento non ancora avvallati da un consenso scientifico internazionale) ho trovato lo studio fatto dai colleghi di Milano e Monza in merito alla valutazione funzionale dei pazienti affetti da bronchiectasie molto interessante.
Solitamente le bronchiectasie vengono inserite nel gruppo delle malattie ostruttive respiratorie. Il FEV1 è pertanto sempre stato utilizzato per valutarne la compromissione funzionale tanto da essere incluso anche in alcuni score di gravità di malattia: il BSI e il FACED. Dalle linee guida della British Thoracic Society (BTS) del 2010 siamo invitati a studiare le bronchiectasie con la spirometria semplice. La letteratura più recente dimostra tuttavia che questi pazienti potrebbero sviluppare una varietà di quadri fisiopatologici più complessi: un disturbo disventilatorio restrittivo, un quadro misto, un’isolata problematica di intrappolamento aereo o persino avere una funzionalità respiratoria normale. Ci sono inoltre dati che sottolineano come il grado di iperinflazione e la DLco siano fattori predittivi indipendenti di mortalità di malattia. Gli autori sottolineano che, nonostante la genesi dell’ostruzione nelle bronchiectasie sia collegata a problematiche delle vie aeree distali, la risposta alla terapia broncodilatativa è sempre stata valutata sulla base del miglioramento del FEV1, indicatore approssimativo di tale risposta. Questo è ulteriormente comprovato da una serie di studi radiologici che hanno dimostrato come i principali determinanti di ostruzione del flusso aereo e il suo declino nel tempo siano rappresentati da evidenza di bronchiolite e malattia delle piccole vie aeree (inspessimento della parete bronchiale e air trapping espiratorio). Questo sottolinea come una spirometria semplice non sia sufficiente non rilevando l’iperinflazione e l’aumento delle resistenze delle vie aeree.
Altri studi sottolineano come cambiamenti in acuto dei volumi polmonari statici e delle resistenze polmonari abbiano una maggiore sensibilità di correlazione tra risposta clinica e funzionale alla terapia farmacologica. Sulla base di tali presupposti Radovanovic e colleghi hanno ideato uno studio prospettico, epidemiologico e multicentrico che si è prefigurato di indagare le diverse caratteristiche fisiopatologiche di pazienti adulti (>18 anni) affetti da bronchiectasie. Sono state eseguite valutazioni funzionali complete con pletismografia e DLco andando a studiare la presenza e il ruolo della reversibilità dell’intrappolamento aereo e dell’iperinflazione alveolare. Lo studio ha compreso 187 pazienti afferenti agli ambulatori dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e del San Gerardo di Monza dal gennaio 2013 al dicembre 2014. I criteri di inclusione prevedevano: storia clinica compatibile con bronchiectasie, quadro HRTC torace patognomonico, stabilità clinica da almeno 3 mesi, essere in grado di eseguire una pletismografia con test di broncodilatazione e DLco. Sono state indagate caratteristiche antropometriche, comorbidità, severità di malattia, sintomi, risultati microbiologici e radiologici. Per valutare la presenza di ostruzione o restrizione sono stati utilizzati i LLN, mentre la gravità dell’ostruzione è stata determinata secondo le raccomandazioni ATS/ERS. Definiva un quadro misto la concomitante presenza di un rapporto FEV1/VC e di una TLC inferiori ai LLN. L’intrappolamento aereo è stato definito come un VR > 120%teorico e l’iperinflazione da una TLC > 120%teorico. Hanno determinato il grado di reversibilità bronchiale sul FEV1 e VR dividendo i pazienti in due gruppi: quelli con ostruzione al flusso secondo una risposta del FEV1 (+200 mL/+12%teorico o un incremento di 400 mL); quelli con intrappolamento aereo con una riduzione del VR (+10% o di 300 mL). Infine sono stati definiti 6 sottogruppi funzionali: A) normali; B) ostruiti non reversibili; C) intrappolamento aereo reversibile; D) ostruiti con reversibilità; E) ristretti; F) misti. La popolazione analizzata era composta prevalentemente da donne (< 30% gli uomini), con età media di 68 anni e una storia di fumo (42%). Le comorbidità più frequenti erano Malattia da Reflusso Gastroesofageo - MRGE (21%), Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva - BPCO (17%) e asma (12%). Più di un terzo dei pazienti aveva una colonizzazione infettiva (22% da P. aeruginosa) e il 48,5% eseguiva terapia inalatoria cronica con broncodilatatori di cui il 59% con steroide inalatorio. Quasi il 59% dei pazienti risultava avere una spirometria normale. Tuttavia i dati delle pletismografie hanno evidenziato che solo un 21% di pazienti aveva una funzionalità respiratoria normale (gruppo A).
Lo studio sottolinea che utilizzare solo la spirometria semplice limita la possibilità di una corretta fenotipizzazione del paziente e quindi gestione terapeutica. Queste conclusioni sono avvallate da studi su pazienti BPCO con ostruzione non reversibile definita da spirometrie semplici: la sola riduzione dei volumi statici dopo test di broncodilatazione correla meglio con il miglioramento della dispnea e la tolleranza all’esercizio fisico. Radovanovic e colleghi hanno evidenziato che ciò accade anche in un terzo dei pazienti bronchiectasici. Si sa inoltre che un basso FEV1 correla con elevato rischio di esacerbazioni, ma non è stato provato che il peggioramento dei sintomi sia legato a una sua riduzione acuta o piuttosto a un incremento dell’intrappolamento aereo. Inoltre si evidenzia che quest’ultimo (riscontrato nel 70%) e le alterazioni della DLco (riscontrate nel 56%) sono le più comuni disfunzioni respiratorie che ritroviamo in questa popolazione. Ulteriori studi tuttavia devono essere svolti per comprendere la relazione tra le alterazioni riscontrate nel DLco e la storia naturale delle bronchiectasie.
Un quarto della popolazione mostra più frequentemente una reversibilità dell’intrappolamento aereo più che un miglioramento del FEV1. Questo probabilmente per quanto hanno evidenziato gli autori nel loro studio: l’iperinflazione e l’intrappolamento aereo sono caratteristiche patognomoniche delle bronchiectasie indicando il coinvolgimento sia delle piccole vie aeree (per iper-reattività secondaria a infiammazione neutrofila) sia la perdita di elasticità. E in considerazione della relazione tra il fatto che bronchiectasici con reversibilità dell’intrappolamento aereo hanno un quadro ostruttivo di grado più severo supporta l’ipotesi che l’iper-reattività bronchiale nel bronchiectasico sia un segno distintivo di gravità e quindi aiuti ad individuare i pazienti più fragili. Maggiori studi dovranno inoltre essere svolti per spiegare quale sia la popolazione che si giovi di una determinata terapia broncodilatatrice o steroidea inalatoria.