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Quando parliamo di test di broncodilatazione, nella testa di ognuno di noi, ma anche di chi è profano di Pneumologia, il pensiero va subito all’asma bronchiale. Tuttavia, i dati emersi da alcuni recenti trial clinici come ECLIPSE (1) hanno evidenziato come anche nella Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) una risposta significativa al test di broncodilatazione in corso di spirometria sia un dato tutt’altro che raro.
Gli autori del lavoro di cui tratteremo oggi, pubblicato pochi mesi fa su Eur Respir J, hanno analizzato le caratteristiche fisiopatologiche dei pazienti partecipanti a tre grandi studi di popolazione che presentavano metodologie similari e criteri di arruolamento confrontabili (BOLD, ECRHS III e GALEN) e che hanno coinvolto un totale di oltre 35.000 pazienti, di età e provenienza diverse, che hanno eseguito tutti almeno una spirometria e un test di broncodilatazione. Di questi la maggior parte erano pazienti senza asma né BPCO.
Gli asmatici studiati sono stati 2.833 e la diagnosi risultava o autoriportata o confermata da un medico; i pazienti erano inoltre tutti in terapia di mantenimento o al bisogno. I pazienti con BPCO erano 1.146 e definiti sulla base di una spirometria con FEV1/FVC post broncodilatatore sotto il “lower limit of normal”, una storia di esposizione al fumo di sigaretta (almeno 10 pack-year) e l’assenza di storia di asma bronchiale.
La risposta al broncodilatatore è stata valutata con diversi criteri. Innanzitutto, va detto che è stata somministrata una quantità di salbutamolo di 200mcg (inferiore a quanto raccomandato nelle linee guida ATS-ERS 2005). Quindi sono state valutate una risposta di flusso (aumento del FEV1 assoluto di 200mL, relativo 12% ed entrambi) e una risposta di volume (aumento di FVC con criteri sostanzialmente simili).
L’analisi dei dati ha messo in luce che sia nell’asma che nella BPCO la percentuale di pazienti con risposta significativa al test di broncodilatazione era significativamente maggiore rispetto ai pazienti di controllo, ma abbastanza sorprendentemente non vi era differenza tra asma e BPCO (la prevalenza di pazienti positivi al test considerando il FEV1 si è aggirata tra il 17-18% del totale), sia considerando una risposta al broncodilatatore in termini di flusso che di volume.
Va detto, tuttavia, che i pazienti asmatici avevano valori basali di FEV1 e FVC significativamente maggiori rispetto ai pazienti BPCO, come è facile immaginare, e molti avevano una spirometria assolutamente normale. Questo dato può aver influenzato, almeno in parte, la lettura dei risultati. Normalizzando i dati, infatti, la risposta di broncodilatazione in termini di FEV1 assumeva maggior prevalenza negli asmatici rispetto ai BPCO, mentre la risposta in termini di FVC non differiva tra i due gruppi.
Gli autori hanno voluto verificare, inoltre, se la risposta al broncodilatatore correlasse con alcuni parametri clinici e fisiopatologici. Nei pazienti asmatici la risposta positiva al test di broncodilatazione correlava con maggiori sintomi, alti valori di FeNO e sensibilizzazione allergica (elevati valori di IgE). Nei pazienti con BPCO, invece, non si è osservata alcuna correlazione con parametri clinici come il grado di dispnea, il numero di riacutizzazioni e gli indicatori di qualità di vita.
Alla luce di questi dati, gli autori speculano su un possibile significato clinico e prognostico della positività al test di broncodilatazione. In particolare, la correlazione con i valori di FeNO potrebbe far suggerire una correlazione con una maggior risposta ai corticosteroidi di questi pazienti e a forme di malattia meno controllate e più sintomatiche.
In conclusione, questo lavoro lascia come messaggio una sorta di ridimensionamento circa il significato del test di broncodilatazione per discriminare asma e BPCO. Tuttavia, sono numerosi i limiti che possono essere trovati. In primis, a mio avviso, il fatto di aver messo insieme pazienti ostruiti (perlopiù BPCO) e pazienti con spirometria normale, che per ovvie ragioni erano tutti asmatici. Per chiare ragioni matematiche e statistiche la risposta al broncodilatatore ha maggiori possibilità di evidenziarsi nei pazienti con funzionalità ridotta rispetto a chi ce l’ha conservata. Gli autori hanno tenuto conto di questo dato solo in una analisi secondaria, ma non pubblicano i dati per un’esauriente analisi.
Ritengo che il dato più significativo di questo lavoro è aver confermato in una popolazione così ampia l’elevata prevalenza di una risposta positiva al test di broncodilatazione nei pazienti con BPCO con storia di fumo di sigaretta e assenza di storia di asma. Purtroppo, questo dato non permette di caratterizzare uno specifico fenotipo di malattia.

Bibliografia 

  1. Hurst JR, Vestbo J, Anzueto A, et al.; Evaluation of COPD Longitudinally to Identify Predictive Surrogate Endpoints (ECLIPSE) Investigators. Susceptibility to exacerbation in chronic obstructive pulmonary disease. N Engl J Med 2010;363:1128-38.