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La diagnosi di asma professionale (Occupational Asthma, OA) si basa sulla presenza di asma bronchiale, su una chiara correlazione con l’attività lavorativa e sull’identificazione di uno specifico agente lavorativo sensibilizzante (o irritante) (1, 2).
Il test di broncostimolazione specifica (SIC) è considerato il “metodo standardizzato di riferimento”; tuttavia possono esservi dei SIC falsi positivi e falsi negativi; è un test indaginoso e costoso e viene eseguito solo in un ristretto numero di centri specializzati (2). Il monitoraggio del picco di flusso espiratorio (PEF) durante periodi di lavoro e periodi di astensione lavorativa, analizzato con il programma OASYS-2 (Oasys Research Group, Midland Thoracic Society, UK), ha una buona sensibilità (71%) e specificità (91%) diagnostica.
Lo scopo dello studio di Burge PS e coll. è stato quello di validare i risultati dei test realistici condotti in ambiente lavorativo attraverso il confronto con quelli dei SIC positivi effettuati in laboratorio (con gli stessi agenti asmogeni professionali), analizzando anche l’eventuale analogia tra la tempistica della reazione asmatica in laboratorio e quella in ambiente di lavoro.
L’esposizione specifica in laboratorio è breve (fino a 120 minuti) e può essere interrotta in caso di reazioni immediate particolarmente severe. Il pattern di risposta alla singola esposizione in laboratorio è stata classificata in: immediata [con riduzione del FEV1 rispetto al basale del 15% nei primi minuti dall’esposizione e normalizzazione entro la seconda ora (come in figura 1a)], ritardata [risposta dopo le prime ore e lento recupero (come in figura 1b)] e duplice (una risposta immediata con risoluzione a cui segue una caduta del FEV1 ritardata). La Task Force della European Respiratory Society (ERS) ha concluso che le indicazione al SIC sono: 1) per confermare la diagnosi e 2) per identificare l’agente causale, quando gli altri test non sono fattibili, o poco efficienti oppure non dirimenti; 3) per identificare nuove cause di OA; 4) per condurre ricerche sui meccanismi dell’asma correlata all’ambiente lavorativo (3).
Gli Autori, nel loro centro, utilizzano primariamente per la diagnosi di OA il monitoraggio del PEF durante un periodo di lavoro e un periodo di astensione lavorativa, limitando invece a un numero ristretto di casi il SIC, specialmente quando il lavoratore ha cambiato mansione e non è più esposto all’agente asmogeno sospetto. Le misurazioni devono essere eseguite almeno al risveglio, all’inizio del lavoro, nel primo pomeriggio, alla fine turno lavorativo e prima di coricarsi, riportando il valore migliore su tre misurazione del PEF. Come nello studio in oggetto, la misurazione del PEF può essere eseguita sia con strumento manuale (Mini-Wright-meters) sia digitale (e-mini-Wright, Piko-1), mentre per l’analisi è consigliabile il programma Oasys-2 che rende più agevole la diagnosi. Il programma, infatti, calcola alcuni parametri, quali: la differenza dei valori del PEF durante i giorni lavorativi e di astensione lavorativa comparando la variazione media giornaliera, l’area tra le curve (ABC) nel grafico dei valori medi del PEF dei giorni lavorativi e quelli di riposo, l’Oasys Score basato sull’analisi del pattern del PEF giornaliero massimo, medio e minimo di tutte le misurazioni eseguite (Figura 1b, c e Figura 2b, c). Un Oasys Score ≥ 2,5 e un’area tra le curve (ABC) ≥ 15 L/min hanno rispettivamente una specificità del 94% e 96% per una diagnosi di OA. In ambiente lavorativo l’esposizione avviene durante l’intero turno lavorativo e risente della variabilità circadiana del calibro delle vie aeree. Il pattern di risposta è stato classificato in base alla velocità di inizio della risposta e della risoluzione; è immediato se il peggioramento del PEF avviene nel primo giorno di lavoro ed è ritardato se il peggioramento dell’asma avviene progressivamente nei giorni seguenti.
E’ stato precedentemente osservato che il 40% degli asmatici smette autonomamente la registrazione del PEF già entro il primo mese di monitoraggio, suggerendo quindi di eseguire tale metodica preferibilmente per periodi brevi (4). Nei casi di sospetta OA, invece, il paziente è motivato a misurare il PEF, in quanto ne riconosce l’utilità finalizzata al risarcimento per malattia professionale. Nondimeno l’auto-misurazione del PEF sul posto di lavoro è stata criticata da alcuni Autori, che hanno registrato in alcuni casi dei flussi sotto-ottimali (effort richiesto per la registrazione più basso durante il lavoro) e una differenza di quasi il 10% tra le misure eseguite con strumenti manuali e digitali.
Nello studio sono stati analizzati 111 lavoratori, di cui 53 con SIC positivi (esposti in laboratorio a 19 diversi agenti professionali, sia ad alto (HMW) che basso peso molecolare (LMW)). Sono state osservate 20 risposte immediate, 24 duplice e 9 ritardate. Dei 53 con SIC positivi sono state raccolte 49 misurazioni adeguate del PEF lavorativo, indicative di OA. La tipologia di reazione al SIC è risultata correlarsi in maniera statisticamente significativa con la velocità di insorgenza del peggioramento del PEF al lavoro e con il tempo d’inizio recupero del PEF sia per la risposta immediata che per quella ritardata, ma non per quella duplice. Relativamente al test di broncostimolazione aspecifico (NSBR) pre-SIC, nel 47% dei lavoratori è risultato nella norma; questo dato è in linea con quanto riportato in letteratura (20,7% per esposti ad agenti HMW e 33,3% per LMW) (5). In genere il NSBR può ritornare nella norma se l’intervallo di tempo tra l’ultima esposizione professionale all’agente asmogeno e la misurazione del NSBR è sufficientemente lungo. Nello studio tale intervallo era nel 75% dei pazienti inferiore a un mese (non si sono osservate differenze significative nella risposta al SIC). I soggetti con SIC immediata hanno presentato in maniera statisticamente significativa maggiore iperreattività e caduta più marcata del FEV1 durante il test rispetto a quelli con risposta duplice.
Questi risultati sono molto interessanti e sottolineano l’importanza diagnostica del monitoraggio del PEF per la diagnosi di OA. Attualmente, però, risultano ancora pochi i dati sulla validazione del test di esposizione sul posto di lavoro. La scelta di questo articolo vuole essere un suggerimento per i colleghi, che si occupano di malattie respiratorie allergiche, ad impiegare la misurazione del PEF con maggior diffusione e convinzione, anche in considerazione del fatto che l’OA rappresenta il 25% di tutti i casi di asma dell’età adulta (1). 


Bibliografia

1. Malo JL, Tarlo SM, Sastre J, et al. An official American Thoracic Society Workshop Report: presentations and discussion of the fifth Jack Pepys Workshop on Asthma in the Workplace. Comparisons between asthma in the workplace and non-work-related asthma. Ann Am Thoracic Soc 2015;12:S99-S110.
2. Vandenplas O, Suojalehto H, Cullinan P. Diagnosing occupational asthma. Clin Exp Allergy 2017;47:6-18.
3. Vandenplas O, Suojalehto H, Aasen TB, et al. ERS Task Force on Specific Inhalation Challenges with Occupational Agents Specific inhalation challenge in the diagnosis of occupational asthma: consensus statement. Eur Respir J 2014;43:1573-87.
4. Coté J, Carti A, Malo J, et al. Compliance with peak expiratory flow monitoring in home management of asthma. Chest 1998;113:968-72.
5. Beach J, Russell K, Blitz S, et al. A systemic review of the diagnosis of occupational asthma. Chest 2007;131:569-78.