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L’OSA (Obstructive Sleep Apnea) è stata etichettata in passato anche come "malattia dei grandi russatori", intendendo come tale un’unica patologia che può presentarsi con diversi gradi di gravità, dal più lieve con sporadiche apnee nel sonno a quello più grave con frequenti apnee notturne associate ad ipoventilazione ed insufficienza respiratoria. Rimane controverso quanto questa patologia possa avere una spontanea tendenza ad un progressivo peggioramento. Secondo alcuni studi, la tendenza all’evolutività sarebbe maggiore negli individui di sesso maschile, nei soggetti con una minore gravità iniziale dei disturbi respiratori, in quelli che vanno incontro ad aumento del peso corporeo e nei più giovani.

Rispetto ai giovani o agli individui di mezza età, negli anziani le apnee sono più spesso poco o asintomatiche, sono meno correlate alla presenza di obesità e, pur potendo ancora comportare un aumento del rischio cardiovascolare (specialmente da ictus), sembrano associarsi ad una minore mortalità. Spesso quindi l’OSA in età avanzata potrebbe non essere il prodotto di un progressivo aggravamento di disturbi respiratori insorti in età precedenti ed avere un decorso diverso.

Nell'articolo in esame Sforza e coll. hanno valutato le caratteristiche dei disturbi respiratori notturni mediante monitoraggio cardiorespiratorio in una coorte di 854 soggetti (PROOF study cohort), uomini e donne, dell’età di 68 anni, non selezionati per sospetto di OSA e che non presentavano gravi disturbi cardiovascolari né malattie che potessero far prevedere una breve aspettativa di vita. A distanza di tre anni dal primo monitoraggio notturno, dopo l’esclusione di 60 soggetti cui era stata prescritto trattamento con CPAP, 519 accettarono di essere ristudiati. In questi soggetti, nel periodo considerato sono state osservate ampie differenze interindividuali nelle variazioni della frequenza dei disturbi respiratori notturni (respiratory disturbance index, RDI), ma in media questa si riduceva significativamente da 22,3 a 16,2 eventi/ora, senza associarsi a miglioramenti dei valori di saturazione ossiemoglobinica notturna. Ponendo a 15 il valore soglia di RDI per la definizione di OSA (con la metà degli eventi di tipo ostruttivo), la percentuale di pazienti OSA diminuiva dal 61 al 49%. Il cambiamento di RDI non si correlava né alla variazione del BMI né a quella della sonnolenza valutata mediante scala di Epworth, variazioni che però erano di entità trascurabile. Le riduzioni maggiori di RDI si osservavano nei soggetti con valori di RDI più alti all’esame iniziale. I dati mostrano che tra la prima e la seconda valutazione poligrafica non vi era stato alcun caso di decesso. Gli autori non danno informazioni sull’incidenza di nuove patologie in rapporto alla presenza dell’OSA, ma segnalano una correlazione tra variazioni di RDI e dei valori pressori notturni.

In questo articolo, forse per la prima volta, piuttosto che una tendenza al peggioramento dei disturbi respiratori nei soggetti con OSA lieve, viene segnalata una tendenza al miglioramento dei disturbi respiratori nei soggetti con OSA più grave. Questo risultato potrebbe dipendere da una diversa composizione della casistica di questo studio rispetto a quella dei precedenti lavori sulla storia naturale dell’OSA, specie quelli incentrati su soggetti anziani (Ancoli-Israel S et al, Sleep 1993; Bliwise DL, Sleep Med Clin 2009), in cui la maggior parte dei soggetti valutati avevano disturbi respiratori lievi. E’ possibile quindi che negli anziani l’OSA, specie nelle forme più conclamate, abbia una tendenza ad uno spontaneo miglioramento che potrebbe essere specifica della loro età.

La tendenza alla riduzione dei disturbi respiratori, la mancanza di correlazione tra variazioni della frequenza dei disturbi respiratori e della sonnolenza diurna, e l’assenza di casi di decesso nella popolazione studiata riportate in questo lavoro sembrano supportare le conclusioni di quegli studi che hanno dimostrato una ridotta importanza clinica dell’OSA in età avanzata. Va però sottolineato che i soggetti inclusi nello studio erano in media scarsamente sintomatici (punteggio della sonnolenza alla scala di Epworth di 6) e che nessuno di essi presentava gravi comorbilità, mentre è tra i soggetti con comorbilità che l’OSA potrebbe risultare più pericolosa. Inoltre, anche nei soggetti etichettati come affetti da OSA moderato-severa sulla base di un RDI >30, il grado di ipossiemia notturna era modesto (saturazione minima notturna 88,3%, tempo con saturazione <90% pari al 2%). Quindi nell’anziano non va scartata la possibilità di una rilevanza clinica dell’OSA né esclusa la necessità di un suo trattamento. Piuttosto, come concludono gli autori, nel valutare l’opportunità di intraprendere una terapia per i disturbi respiratori nel sonno la presenza di morbilità cardiovascolare o di deficit neurocognitivi potrebbe rappresentare un punto di riferimento più affidabile del solo RDI.