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Questo articolo descrive un approccio multidimensionale alla diagnosi di BPCO (Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva) che prevede in particolare l’integrazione dell’imaging alla diagnosi funzionale di BPCO e ai dati clinici.
La diagnosi di BPCO colpisce globalmente circa 392 milioni di persone, ed è attualmente determinata in base alla presenza di un’ostruzione fissa post-broncodilatatore con un rapporto FEV1 (Forced Expiratory Volume in the first second of expiration)/FVC (Forced Vital Capacity) inferiore al 70%, o inferiore al limite inferiore di normalità nel corretto contesto clinico e in presenza di sintomi respiratori. Tuttavia, è noto che i danni anatomici riscontrabili alla TC (Computed Tomography) torace, ivi compresi i segni di enfisema o l’ispessimento delle pareti bronchiali, sono riscontrabili prima dello sviluppo di alterazioni funzionali. Inoltre, i pazienti con alterazioni TC suggestive di BPCO in assenza di danni funzionali, hanno un rischio di svilupparli rispettivamente due volte maggiore in caso di presenza di ispessimenti bronchiali, e addirittura cinque volte maggiore in caso di presenza di enfisema (1,2). Per tale ragione, la comunità scientifica sta da tempo aprendo alla possibilità che la diagnosi di BPCO non sia basata unicamente sulla presenza di un’alterazione funzionale. In quest’ottica nasce la diagnosi suggerita dal COPDGene (Genetic Epidemiology of COPD) (3) nel 2019, che integra, con eguale importanza e rendendoli tutti necessari ai fini della diagnosi, quattro criteri: fattori di rischio, sintomi, imaging, alterazioni spirometriche. Nel 2022 la Lancet Commission sulla BPCO suggerisce un approccio multidimensionale ma non ne definisce i criteri, e nel 2023 le GOLD (Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease) includono la presenza di alterazioni TC come elemento sospetto per la diagnosi di BPCO, ma non rientrano nell’algoritmo diagnostico.
Lo scopo del metodo suggerito in questo articolo è quello di individuare i pazienti che non riceverebbero una diagnosi di BPCO se si considerasse la sola spirometria, e di includere outcome clinici come la mortalità e la morbidità respiratoria nella diagnosi.
La casistica considerata è numerosa, dato che contempla i pazienti dei registri COPDGene (9.416 partecipanti) e quello canadese del Canadian COhort Obstructive Lung Disease (CanCold, 1.341 partecipanti).
Secondo gli autori, la spirometria viene nuovamente interpretata considerando: lo stadio GOLD 0 per i pazienti con FEV1/FVC normale e FEV1 ≥80%; i pazienti con FEV1/FVC normale ma FEV1<80% sono invece considerati come aventi spirometria alterata con rapporto conservato, mentre la TC torace viene eseguita a capacità polmonare totale. Inoltre, vengono utilizzati come questionari di qualità della vita il Saint George’s Respiratory Questionnaire (SGRQ) nel COPDGene, il COPD Assesment Test Score nel CanCOLD e il Medical Research Council per la scala della dispnea. Infine, la definizione clinica di bronchite cronica viene fatta sulla presenza di tosse produttiva in più giorni per almeno tre mesi in due anni consecutivi.
Gli autori propongono uno schema diagnostico che considera criteri maggiori e minori: il criterio maggiore è l’ostruzione bronchiale, definita come un rapporto FEV1/FVC POST broncodilatatore ≤ 70% nelle prime analisi, e successivamente come limite inferiore di normalità nelle analisi sensibili; tra i criteri minori compaiono invece due criteri radiologici rappresentati dalla presenza di enfisema e dall’ispessimento delle vie aeree sulla base delle immagini TC e tre criteri clinici (dispnea mMRC≥2, qualità della vita SGRQ≥25 , bronchite cronica CAT≥10).
La diagnosi di BPCO viene fatta sulla base della presenza del criterio maggiore e di almeno un criterio minore, ma in aggiunta può avvenire anche in assenza di ostruzione respiratoria o della spirometria, se almeno tre dei cinque criteri minori vengono rispettati: in particolare due dei tre criteri da rispettare devono essere i parametri di imaging, per ridurre il rischio di sovrapposizione da sintomi di confondimento, derivanti da altre condizioni cliniche (es. scompenso cardiaco).
Questa nuova classificazione è stata confrontata con quella classica, basata sulla presenza di ostruzione bronchiale, e le categorie diagnostiche sono state testate su quattro outcome clinici: qualsiasi causa di morte, mortalità correlata alle problematiche respiratorie, riacutizzazioni di BPCO, progressione di malattia come riduzione del FEV1 tra baseline e visite di controllo.
Il nuovo schema ha identificato il 15,4% di soggetti con BPCO che non presentavano ostruzione alla spirometria. Ha escluso il 6,8% di soggetti che presentavano ostruzione, ma senza sintomi né anomalie strutturali. I nuovi pazienti diagnosticati con BPCO (solo tramite criteri minori) avevano:

  • Doppio rischio di mortalità (HR: 1.98)
  • Triplo rischio di mortalità respiratoria
  • Maggiore incidenza di riacutizzazioni
  • Declino accelerato del FEV1

I partecipanti classificati come non aventi BPCO con i nuovi criteri, avevano una funzione respiratoria normale, minimi sintomi, e una minima proporzione assumeva terapia inalatoria in cronico.
I punti di forza dello studio sono rappresentati dal fatto che in entrambe le coorti, la spirometria e le immagini radiologiche sono state acquisite con rigorosi controlli di qualità. Nella coorte COPDGene vi era un’elevata rappresentanza di individui afroamericani. La coorte CanCOLD ha incluso soggetti che non avevano mai fumato, i quali di solito sono esclusi dagli studi sulla BPCO.

Conclusioni
Questo nuovo sistema mantiene la centralità del ruolo della spirometria, ma consente contemporaneamente di porre la diagnosi di BPCO anche in caso di assenza del dato spirometrico. Infatti, considerando l’imaging polmonare, i sintomi respiratori e la spirometria, consente di identificare ulteriori individui a rischio di sintomi respiratori con scarso controllo. Emerge infatti da questo articolo che i pazienti così identificati sono a maggior rischio di mortalità per qualsiasi causa, e in particolare per cause respiratorie, e presentano un più rapido declino del FEV1 e un maggior numero di riacutizzazioni se confrontati con pazienti classificati come “non BPCO” secondo questa classificazione.
Questa nuova ottica di individuazione dei pazienti con BPCO è intrigante e attuale nell’attività clinica quotidiana. In questa nuova classificazione credo si possa trovare un’applicabilità quotidiana ogni qualvolta venga ricoverato un paziente con l’“etichetta” di BPCO solo perché ha un’anamnesi positiva per fumo di sigaretta, pur non avendo mai eseguito prove funzionali. Un’integrazione clinica e morfologica sulla base della radiologia potrebbe quindi permettere di concludere per una diagnosi di BPCO, ed eventualmente precedere una valutazione funzionale in un ambito come il ricovero ospedaliero, situazione in cui spesso la valutazione funzionale è difficile in termini pratici, ma anche clinici (4).
A mio avviso la spirometria mantiene un ruolo imprescindibile nella valutazione del paziente con BPCO, ma in un determinato contesto clinico, soprattutto in acuto, questo schema potrebbe fornire indicazioni utili a individuare i pazienti da monitorare in modo più stretto e nei quali sicuramente richiedere una spirometria.


Bibliografia

  1. Regan EA, Lynch DA, Curran-Everett D, et al. Genetic Epidemiology of COPD (COPDGene) Investigators. Clinical and radiologic disease in smokers with normal spirometry. JAMA Intern Med 2015;175:1539-49.
  2. Woodruff PG, Barr RG, Bleecker E, et al. Clinical significance of symptoms in smokers with preserved pulmonary function. N Engl J Med 2016;374:1811-21.
  3. Lowe KE, Regan EA, Anzueto A, et al. COPDGene2019: redefining the diagnosis of chronic obstructive pulmonary disease. Chronic Obstr PulmDis 2019;6:384-99.
  4. Lambert AA, Bhatt SP. Respiratory symptoms in smokers with normal spirometry: clinical significance and management considerations. Curr Opin Pulm Med 2019;25:138-43.