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COVID-19. Intervista a Raffaele Scala Direttore di pneumologia dell'ospedale San Donato di Arezzo

"Natale? Niente cenoni e mascherina in casa se non conviventi. Ho visto la devastazione nelle famiglie"
"Una raccomandazione per le feste natalizie: comportamenti consapevoli e attenzione, per evitare un'ulteriore diffusione del contagio "Dovrà essere un Natale diverso", dice il dottor Raffaele Scala. E poi il racconto di lunghi mesi passati a combattere il Covid in reparto: una situazione senza precedenti, che sta lasciando un segno profondo nel personale sanitario impiegato. Scala è il direttore del reparto di Pneumologia dell'ospedale San Donato di Arezzo e ha parlato di questi e altri temi nel corso della puntata di ieri pomeriggio di Prisma Speciale: "Nelle ultime due settimane - spiega - abbiamo assistito a una riduzione della pressione nei reparti Covid. Una contrazione data dal rispetto delle norme di restrizione della seconda ondata".

Come è cambiato da febbraio il suo reparto?

"E' stata una rivoluzione. E' stato assorbito in gran parte, con Malattie Infettive, nella degenza Covid. C'è stato un considerevole aumento di posti letto: fino a 125 in questa zona (considerata la fusione di reparti, nda), però abbiamo conservato un'area non Covid più ridotta Utip (Unità di terapia intensiva pneumologica) per pazienti gravi. Sono 6 posti per degenti che vengono trattati con tecniche non invasive ma molto vicine alla terapia intensiva. Prima del Covid c'erano 12 posti letto ordinari in Pneumologia, più 4 di Utip. Oggi 6 in Utip e 60 ordinari, di cui 28 ad alta intensità di cura. E purtroppo ancora 24 di questi sono occupati da persone affette da Covid".

E' l'esperienza più difficile della sua carriera?

"Nella mia vita di pneumologo mai mi sarei aspettato di gestire una situazione del genere. La difficoltà stanno soprattutto nel gestire il sostenuto ritmo di ricoveri di persone in condizioni tanto severe. E noi operatori dobbiamo avere dispositivi di protezione complesse, ingombranti: tutto diventa più difficile. E' un'esperienza senza precedenti".

Cosa c'è di diverso per voi operatori nell'affrontare il Covid rispetto alle polmoniti tradizionali?

"Con gli scafandri indosso è complicato sentire quello che dicono i pazienti. Che magari non ci riconoscono, anche se noi abbiamo i nomi stampati sulle tute. Per quanto riguarda i pazienti, ci sono effetti indiretti devastanti del virus rispetto ad altre polmoniti. C'è inoltre la necessità di applicare procedure di ventilazione meccanica, nella prima fase avevamo timori perché questa tecnica si sospettava avrebbe potuto diffondere il contagio. Ecco: queste sono le principali difficoltà, che sono state notevoli soprattutto all'inizio".

Ci sono rischi di danni permanenti?

"I danni da polmonite da Coronavirus sono molti e possono essere permanenti. Senza dimenticare i danni psicologici, anche molto importanti. I controlli che andiamo ad effettuare ogni tre mesi con la Tac del torace, mostrano come nei polmoni dei pazienti guariti rimangano alcune cicatrici e che, nei casi di malattie preesistenti, possono intaccare il loro corretto funzionamento. L'incidenza esatta di  questi reliquati non la sappiamo, ma l'aver avuto, ad esempio, fibrosi polmonari, determina con il sopraggiungere del Covid, la possibilità di danni irreversibili che impattano sulla vita delle persone colpite".

Ci sono episodi che può riferire che l'hanno particolarmente colpita in questi mesi?

"C'è stata una coppia di coniugi, riuniti nella sventura. Si sono ritrovati entrambi in degenza, dopo che uno di loro era uscito dalla rianimazione. Una situazione positiva, determinata dallo scampato pericolo e dal fatto che fossero insieme nel dramma. Un altro episodio che mi piace citare è quello che ha visto protagonista uno dei nostri degenti, che ha potuto festeggiare il proprio compleanno finalmente libero dal casco: ha potuto soffiare sulle candeline della torta. Un momento condiviso in videochiamata con i familiari".

Il Covid ha accelerato procedure, cure, pratiche con ritorni positivi per altri tipi di patologie?

"E' difficile ancora dire che il Covid abbia accelerato la risoluzione di altri problemi. Una cosa che il Covid ci ha insegnato è però l'importanza della mascherina: se uno deve usarla, fuma di meno, con conseguenze positive per la salute. Inoltre ci si contagia di meno per altre patologie. Si registra un calo delle altre malattie infettive".

La pratica della mascherina fuori casa può diventare di uso comune, magari in determinate occasioni?

"La mascherina può avere una valenza importante nei soggetti a rischio, negli anziani. E in situazioni di assembramento, sia di natura ludica che durante gli spostamenti: treno, metropolitana, soprattutto nel periodo invernale può essere importante proteggersi per limitare gli agenti infettivi".

Dalla prima ondata, cosa è cambiato nella cura del Covid?

"Molto è cambiato. All'inizio non avevamo conoscenze, e abbiamo appreso che alcuni farmaci non vanno usati perché sono dannosi per gli effetti collaterali. Mentre abbiamo imparato ad usare farmaci che, pur non bloccando l'attività virale, inibiscono la risposta indiretta, la tempesta citochimica infiammatoria che può determinare un danno maggiore rispetto al virus. Ad esempio, i cortisonici possono avere effetti positivi. Così come i farmaci anticoagulanti, perché uno degli effetti negativi del virus è quello che causa trombosi. E poi abbiamo imparato molto sulla ventilazione non invasiva, per lasciare spazio nel reparto di rianimazione e limitare le conseguenze negative da intubazione. Abbiamo scoperto inoltre l'importanza del cambio di posizione, supina, che aiuta molto la respirazione".

E' in partenza la campagna vaccinale anti Covid, anche se limitatamente a sanitari e operatori e pazienti delle Rsa. Un sospiro di sollievo per chi si trova esposto più di altri al contagio?

"Sicuramente il vaccino era molto atteso. I vaccini hanno rivoluzionato la storia di numerose patologie. Ricordo però che è sperimentale e serve cautela, prima di farsi prendere dall'entusiasmo. Ci sono lavori scientifici di studio, ma sono limitati: ci sono perplessità su effetti collaterali ed efficacia. Ma, certo, è una strada che va percorsa e, in particolare, è importante che gli operatori sanitari e le persone a rischio si sottopongano al vaccino, anche se va affinato. Mi preme però far passare il messaggio che servono ancora le mascherine, soprattutto per noi operatori sanitari: perché il rischio di contagio effettivo, con i Dpi adeguati, è molto basso. Non abbiamo la certezza che il vaccino ci risolva subito il problema".

Malati cronici seguiti a domicilio, il Covid lascerà in eredità nuove procedure?

"Come pneumologi avevamo già attivato un servizio per seguire a domicilio persone affette da malattie complesse croniche gravi per la respirazione come la sclerosi laterale amiotrofica o severe forme di enfisema polmonare, con i pazienti collegati sempre all'ossigeno o al ventilatore. Perché spesso c'è il timore dei familiari e dei badanti di non saoper gestire al meglio e in autonomia queste persone da casa. Il monitoraggio a distanza, grazie anche alla novità dei braccialetti, si potrà incrementare".

Lei si batte perché si parli di più di malattie gravi all'apparato respiratorio. E che venga posta più attenzione ai malati cronici, che spesso versano in condizioni di difficoltà.

"Oggi si parla di Covid, giustamente. Ma va sottolineato anche l'impatto continuo di un'altra, per così dire, 'pandemia', quella cronica, legata alle tante malattie che hanno un impatto devastante sui pazienti e i loro familiari. Serve attenzione, anche mediatica, perché ci sono persone che hanno bisogno di ossigeno o ventilatore sempre. La vita di queste persone è impattata negativamente, ad esempio negli spostamenti: serve loro un supporto. Se ne parla poco e spero che si possa fare sensibilizzazione su questo tema per scuotere i decisori. In provincia di Arezzo oltre mille persone hanno bisogno dell'uso di sistemi di respirazione artificiale e di ossigenazione. Sono numeri alti. La tecnologia ci ha aiutato nel tempo, ma ci sono ancora situazioni di grande difficoltà per le famihglie".

Che Natale sarà quello del 2020?

"Dovrà essere un Natale diverso. Devono essere mantenute tutte le norme per prevenire gli assembramenti. Il cenone di Capodanno o il pranzo di Natale? Quest'anno dovremmo farne a meno. Se ci sarà convivialità, sarà limitata a 6-8 persone, garantendo però la distanza anche tra chi fa parte della stessa famiglia. I casi più gravi di contagio si sono verificati proprio in famiglia, non dimentichiamolo. Bisogna mantenere un livello alto di attenzione. Festeggiamo il Natale in maniera diversa, evitando multipli contagi e usando la mascherina anche con le persone che arrivano a casa nostra per salutarci e farci gli auguri, se non sono conviventi. E' un invito che faccio a tutta la cittadinanza. Purtroppo il rischio abbiamo visto a cosa porta. Se riapriamo e allentiamo le misure e consentiamo al virus di circolare liberamente ci ritroveremo in una situazione drammatica. Ho ancora in mente scene di devastazione familiare, persone sono decedute per la mancanza di consapevolezza. Il virus c'è ancora".

Fonte: https://www.arezzonotizie.it/speciale/post-coronavirus/societa/intervista-direttore-pneumologia-raffaele-scala-covid-natale.html