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La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) e il carcinoma polmonare (LC) sono due patologie estremamente diffuse e letali e rappresentano, rispettivamente, la 4a e la 7causa di morte.
Nonostante il fumo di sigaretta sia un fattore di rischio comune ad entrambe le patologie, numerosi studi indicano che la BPCO rappresenta un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di LC (1). Sarebbe il processo infiammatorio cronico che caratterizza la BPCO a favorire lo sviluppo del cancro, ad esempio attraverso la disfunzione mucociliare, che favorisce l’accumulo di sostanze tossiche nelle vie aeree, o l’iperproliferazione delle cellule staminali broncoalveolari che cercano di sostituire quelle danneggiate o la formazione di addotti al DNA e mutazioni genetiche nelle diverse cellule, che potranno determinare la comparsa di una cellula neoplastica maligna (“cancerizzazione a campo”) (2).
I corticosteroidi inalatori (ICS) regolano le risposte infiammatorie e la proliferazione di diversi tipi cellulari e potrebbero giocare un ruolo nella prevenzione del carcinoma polmonare. I risultati degli studi pubblicati, tuttavia, non sono univoci e la somministrazione di ICS con questa indicazione non è raccomandata dalle principali linee guida.
Lo studio di Suissa e collaboratori, in corso di pubblicazione su European Respiratory Journal, analizza i dati di un’assicurazione sanitaria della provincia del Quebec: 62.146 pazienti con BPCO di età superiore ai 50 anni, identificati in quanto destinatari di almeno due prescrizioni all’anno di b2-agonisti o anticolinergici, venivano seguiti fino alla diagnosi di LC o alla morte per altre cause o all’interruzione della copertura assicurativa nel periodo tra il 2000 e il 2014. I pazienti che sviluppavano un LC entro un anno dall’inizio del follow-up venivano esclusi dallo studio, per evitare i casi in cui l’uso di broncodilatatori e/o cortisonici fosse da attribuire al tentativo di trattare un LC in fase precoce (ancora non diagnosticato) piuttosto che una BPCO (errore protopatico). Tra i pazienti etichettati come BPCO, venivano identificati quelli che assumevano ICS e i diversi farmaci venivano convertiti in equivalenti di fluticasone per rendere paragonabili i dosaggi. Veniva deciso un periodo di latenza minimo (un anno) al di sotto del quale l’uso dei ICS non poteva aver esercitato alcun effetto sullo sviluppo di LC. L’impatto dell’assunzione di ICS sul rischio di LC veniva valutato con un modello di regressione, che includeva come covariate la durata della terapia con ICS (< 2, 2-4 e > 4 anni), la dose (< 500 mcg, 500-1000 mcg e > 1000 mcg), l’età, il sesso, la presenza di diverse comorbilità e di episodi di riacutizzazione. Dopo l’applicazione dei criteri di esclusione, venivano analizzati 58.177 pazienti con un’età media di 71 anni (52% M), di cui il 63% destinataria di almeno una prescrizione di ICS durante il periodo di follow-up, che durava in media 4,9 anni. L’incidenza media di LC nell’intera coorte era 3,15/1.000 anni-persona. Il rapporto tra quelli trattati con ICS e quelli che non lo erano era 0,94 (IC 0,81-1,07) e, sebbene si riducesse all’aumentare della durata della terapia, rimaneva statisticamente non significativo (0,81, IC 0,70-1,07). L’effetto protettivo, presente ad una dose < 500 mcg di fluticasone (0,83, IC95% 0,71-0,96), si attenuava con l’aumentare della dose e, nei pazienti che assumevano dosi più elevate, il rischio era addirittura superiore a quello dei soggetti non trattati (1,29, IC 95% 1,06-1,56).
Questo studio presta una grande attenzione ad evitare i principali bias presenti negli studi di farmacoepidemiologia, che potrebbero aver condizionato i risultati di studi precedenti in cui l’uso degli ICS aveva dimostrato un significativo effetto protettivo nei confronti del LC. In particolare, l’analisi della sensibilità ha dimostrato che, non tenendo conto dell’“immortal time bias”, si sarebbe ottenuto un HR di 0,48 (IC95% 0,42-0,55), indicativo di un potente effetto protettivo degli ICS nei confronti del tumore del polmone (3). 
Malgrado il rigore epidemiologico utilizzato, la mancanza nel database di informazioni importanti, come quelle riguardanti l’esposizione al fumo, la familiarità, la prevalenza di enfisema polmonare e, soprattutto, la mancanza di una diagnosi spirometrica di BPCO, non consentono di escludere con certezza l’utilità degli ICS nella chemioprevenzione del LC. Inoltre, l’ampia variabilità nella tecnica inalatoria che caratterizza questi farmaci e la possibile inclusione nella popolazione di studio di un numero imprecisato di asmatici (che hanno una bassa probabilità di sviluppare un LC) può aver influenzato in maniera imprevedibile i risultati di questo studio.
Concordo con gli Autori che l’istituzione di un RCT (Randomized Controlled Trial) multicentrico che dirima la questione sia ancora prematura e che ulteriori studi retrospettivi ben condotti, che riducano al minimo i possibili fattori di confondimento, potrebbero chiarire meglio il possibile ruolo degli ICS nella prevenzione del LC.

Bibliografia

  1. Young RP, Duan F, Chiles C, et al. Airflow limitation and histology shift in the National Lung Screening Trial. The NLST-ACRIN cohort substudy. Am J Respir Crit Care Med 2015;192:1060-7.
  2. Lee G, Walser TC, Dubinett SM. Chronic inflammation, chronic obstructive pulmonary disease, and lung cancer. Curr Opin Pulm Med 2009;15:303-7.
  3. Suissa S. Immortal time bias in pharmaco-epidemiology. Am J Epidemiol 2008;167:492-9.