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Le ospedalizzazioni per riacutizzazione grave di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) peggiorano in modo significativo la prognosi e la qualità di vita dei pazienti, rappresentano una delle principali voci dei costi diretti della gestione della malattia, e complessivamente influenzano gravemente la mortalità (1).
Per tale motivo, uno dei principali obiettivi nella gestione del paziente affetto da BPCO è la creazione di modelli predittivi in grado di poter formulare dei dati prognostici che possano essere utilizzati per la prevenzione e più in generale per la gestione delle riacutizzazioni. In passato numerosi indici e marcatori sono stati utilizzati per identificare il rischio di riacutizzazioni e mortalità nei pazienti affetti da BPCO. Tra questi, la funzione respiratoria misurata come FEV1 espresso in percentuale del predetto (FEV1_%) è stata da sempre un valido indicatore, anche se il principale fattore di rischio per future riacutizzazioni è la stessa storia di riacutizzazioni nel recente passato: chi più riacutizzazioni ha avuto in passato, più ne avrà in futuro.
Sorprendentemente, anche modelli complessi e metanalisi (2) non hanno considerato la diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio (DLco) tra i possibili fattori di rischio per le ospedalizzazioni dovute a riacutizzazione di BPCO. I dati su questo aspetto sono stati per lo più di tipo cross-sectional (3), e comunque non espressamente mirati (primary outcome) a esplorare la relazione tra alterazione della DLco e ospedalizzazioni.
Per questo motivo ci è sembrato importante commentare il lavoro di Balasubramanian e collaboratori (4), che ha avuto come obiettivo quello di esaminare l’associazione tra DLco e ricoveri per BPCO riacutizzata, e di valutare se la DLco aggiunge informazioni significative ai modelli predittivi per ricoveri per BPCO riacutizzata.
In questo studio osservazionale di coorte (4), sono stati analizzati i dati contenuti nelle cartelle informatizzate del John Hopkins COPD Precision Medicine Center of Excellence nel periodo compreso tra il luglio 2016 e il luglio 2022, per un totale di 2.793 pazienti con età compresa fra i 30 anni e i 90 anni, diagnosi di BPCO e prove di funzionalità respiratoria complete (inclusa la misurazione della DLco).
In aggiunta all’obiettivo principale (ricoveri per riacutizzazioni) gli autori hanno anche valutato, come obiettivo secondario, la mortalità in un periodo di tre anni.


Sintesi dello studio
I pazienti sono stati divisi in 4 gruppi in base al valore di DLco in % sul predetto:

- DLco < 25% del predetto
- DLco compresa fra il 25-49% del predetto
- DLco compresa fra il 50-74% del predetto
- DLco ≥ 75% del predetto
Su una popolazione di 2.793 pazienti, il 13% (368 pazienti) ha avuto un’ospedalizzazione per riacutizzazione di BPCO entro 3 anni dalla misurazione della DLco.
La DLco si è dimostrata un forte predittore di future ospedalizzazioni per riacutizzazione di BPCO e di mortalità, indipendente dal valore di FEV1_%, dati demografici, storia di comorbidità e soprattutto indipendentemente dal numero delle riacutizzazioni nell’anno precedente.

Dall’analisi è emerso che per ogni 10% di riduzione del valore di DLco in % del predetto, il rischio di ricovero incrementava del 10% (HR 1.1; 95% CI, 1.1 -1.2; P <0.001).
Una simile correlazione si è osservata per la mortalità.
Gli autori hanno potuto dimostrare che il modello di rischio, che includeva età, sesso, razza, indice di massa corporea, stato di fumatore e numerose comorbilità, era significativamente migliorato, nel predire i ricoveri per BPCO riacutizzata, dall’introduzione nel modello di DLco, storia di ospedalizzazione per BPCO nell’anno precedente e FEV1_%, con una AUC di 0,85.
I dati ottenuti sono stati validati su una seconda coorte, e sono rimasti sostanzialmente immodificati indipendentemente dal criterio di classificazione della gravità del deficit di diffusione (cioè z-score o i gruppi con valori di DLco sopra riportati). Quest’ultimo punto merita un commento specifico: se da un lato si può sostenere che la DLco è un fattore di rischio “robusto” per ricoveri e mortalità (non influenzato dal criterio usato per definirne la gravità), d’altro canto è lecito domandarsi quale dei criteri classificativi delle prove di funzione respiratoria (non solo per la DLco) abbia una performance migliore nella pratica clinica in termini di prognostici.
Tra i punti di forza di questo studio si devono sottolineare l’aver analizzato direttamente la DLco come fattore prognostico e l’aver utilizzato un disegno di studio di coorte. Inoltre, i dati hanno una buona possibilità di generalizzazione, in quanto sono stati ottenuti in una coorte urbana, ma validati su una coorte sub-urbana e rurale. Infine, una novità assoluta è il miglioramento delle prestazioni predittive dei modelli di rischio per le riacutizzazioni con l’aggiunta della capacità di diffusione.
Gli stessi autori propongono, tra i possibili meccanismi alla base dei risultati osservati, il ruolo della DLco come indice di maggiore gravità di enfisema, o di una possibile interstiziopatia associata (peraltro non indagata nel lavoro), o del coinvolgimento vascolare polmonare. Inoltre, non si può escludere che l’insufficienza cardiaca abbia influenzato il dato della DLco. Infine, i modelli studiati non hanno incluso marcatori sierici, emogasanalitici o microbiologici.
Questo studio presenta tuttavia alcune limitazioni: potrebbe esserci un bias di selezione dei pazienti dovuto all'indicazione clinica all’esecuzione di prove di funzionalità respiratoria che includessero la DLco, sebbene comunque siano stati raccolti dati con una vasta distribuzione di valori di FEV1 e DLco, compresi molti valori nella norma. Gli autori affermano inoltre che i valori di DLco non sono stati standardizzati e corretti per fattori quali l'emoglobina e la carbossiemoglobina del paziente. Inoltre, è possibile che comorbidità rilevanti non siano state incluse nell’analisi, come quelle cerebrovascolari.

Conclusioni
In conclusione, un test di fisiopatologia respiratoria classica si rivela un potente fattore di rischio per uno dei principali eventi della storia naturale della BPCO: le ospedalizzazioni per riacutizzazione grave. Questo studio ci riporta a considerare elementi noti e facilmente disponibili, che sorprendentemente non erano mai stati analizzati con il dettaglio oggi fornito da Balasubramanian e collaboratori (4). La funzione respiratoria rimane uno dei cardini non solo della diagnosi iniziale, ma anche della gestione a lungo termine della BPCO. La spirometria semplice, sebbene imprescindibile, non è tuttavia conclusiva. I test funzionali di secondo livello, tra cui la diffusione alveolo-capillare del CO, rimangono un valido strumento per un corretto inquadramento del paziente con BPCO. Tuttavia, va considerato che solo una parte dei pazienti eseguono queste prove: anche nello studio qui commentato, il 17,6% dei pazienti con ostruzione alla spirometria non aveva un test di diffusione disponibile.


Bibliografia

  1. Groenewegen KH, Schols AMWJ, Wouters EFM. Mortality and mortality-related factors after hospitalization for acute exacerbation of COPD. Chest 2003;124:459-67.
  2. Guerra B, Gaveikaite V, Bianchi C, Puhan MA. Prediction models for exacerbations in patients with COPD. Eur Respir Rev 2017;26:160061.
  3. Balasubramanian A, Macintyre NR, Henderson RJ, et al. Diffusing capacity of carbon monoxide in assessment of COPD. Chest 2019;156:1111-9.
  4. Balasubramanian A, Gearhart AS, Putcha N, et al. Diffusing capacity as a predictor of hospitalizations in a clinical cohort of chronic obstructive pulmonary disease. Ann Am Thorac Soc 2024;21:243-50.