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Le cardiomiopatie rappresentano un gruppo eterogeneo di patologie del muscolo cardiaco in assenza di coronaropatia, ipertensione e disturbi valvolari. Possono essere primarie o secondarie, dividendosi in dilatative, aritmogeniche, restrittive e ipertrofiche.
Gli autori di questo articolo hanno sottolineato l'importanza della stratificazione prognostica nel follow-up di questi pazienti, in quanto strettamente connessa con eventi aritmici e scompenso cardiaco (1).
Nonostante il recente progresso nel campo dei biomarker, il test da sforzo cardiopolmonare (CPET) resta un'arma fondamentale nell'inquadramento dei pazienti cardio-respiratori, specialmente nello scompenso cardiaco. I dati del CPET devono essere contestualizzati per ogni paziente, specialmente se associati ad altri indici, come l'obesità e il MECKI (metabolism exercise cardiac kidney index) (2).
La cardiomiopatia dilatativa è una patologia primaria del muscolo cardiaco caratterizzata da una dilatazione progressiva ventricolare sinistra o bi-ventricolare con relativa disfunzione in assenza di ipertensione, ischemia e patologia valvolare. Rappresenta una delle principali cause di trapianto cardiaco ed è associata ad incrementato rischio di aritmie. La stratificazione del rischio in questo caso è utile per suddividere pazienti a rischio elevato di morte improvvisa da quelli che correlano maggiormente con lo scompenso cardiaco.
Un importante studio del 2016, guidato dal centro cardiologico Monzino e dall'Ospedale di Trieste ha arruolato pazienti affetti da CMD per eseguire CPET, correlando i dati raccolti con la mortalità, lo scompenso cardiaco e la necessità di trapianto (3). I risultati hanno mostrato che VO2 peak % e VE/VCO2 slope erano i maggiori predittori di morte cardiaca improvvisa/necessità di trapianto urgente. Infatti VO2 peak<60% e VE/VCO2>29 erano associati a prognosi infausta nel gruppo di pazienti analizzati.
La cardiomiopatia ipertrofica è una patologia genetica ereditaria caratterizzata da ipertrofia ventricolare sinistra ed è la più comune tra le cardiomiopatie. La morte cardiaca improvvisa può sopraggiungere prematura tra i 30 e i 40 anni e può manifestarsi come unica condizione. Recentemente le linee guida ESC (European Society of Cardiology) hanno introdotto il CPET tra le procedure di valutazione del rischio in questi pazienti (4).
L'intolleranza allo sforzo è dovuta principalmente all'incapacità di incrementare la gittata sistolica a causa di disfunzione diastolica ventricolare sinistra, inefficienza cronotropa e ostruzione al flusso ventricolare sinistro.
Per queste caratteristiche fisiopatologiche il polso d'ossigeno (VO2/FC) in corso di CPET risulta ridotto. Un dato molto importante in questi pazienti è dato dai segni d'ischemia obiettivabili nella prova da sforzo grazie anche all’improvviso calo dello slope VO2/Work. Comunque anche in questo caso i valori di VO2 peak<50% e VE/VCO2 slope>29 sono connessi a morte cardiaca improvvisa.
La cardiomiopatia restrittiva è caratterizzata da un aumento della rigidità miocardica che comporta un ridotto riempimento ventricolare. Diverse condizioni possono correlarsi a questa patologia, come la malattia di Fabry, l'amiloidosi, la malattia di Gaucher, la sindrome di Hurler e l'emocromatosi. L'ipertrofia non è solitamente caratteristica, ma può essere presente nella malattia di Fabry e nell'amiloidosi mentre la funzione sistolica è solitamente conservata.
Sayegh et al. hanno condotto uno studio su 26 pazienti con fibrosi endomiocardica e disfunzione diastolica sottoposti a CPET (5). I valori di RQ (quoziente respiratorio) e VE/VCO2 slope risultano nella norma, a scapito di ridotti valori di VO2, polso d'ossigeno, VCO2 e VE. Dato che la frazione di eiezione risultava conservata in questi pazienti, la riduzione dei valori suddetti era dovuta a ridotta perfusione periferica.
La cardiomiopatia aritmogenica ventricolare destra è una rara patologia genetica caratterizzata dalla sostituzione dei cardiomiociti con adipociti, causando disfunzione ventricolare destra ed elevato rischio di aritmie ventricolari. Nonostante la bassa incidenza, tale patologia è strettamente correlata a morte improvvisa; infatti solo l'impianto tempestivo di defibrillatori è in grado di ridurre il rischio di exitus. Di conseguenza, valutazioni riguardo la funzione bi-ventricolare in corso di sforzo diventa una chiave importante per stabilire sia il follow-up post impianto che nella stratificazione del rischio di sviluppare scompenso cardiaco. Sebbene siano pochi gli studi in questa classe di pazienti, Scheel et al. hanno dimostrato la capacità della CPET, attraverso l'analisi di VE/VCO2 e VO2 peak, di identificare la coorte di pazienti ad alto rischio di sviluppo di scompenso cardiaco sintomatico.
In conclusione, si può affermare che il CPET rappresenti una valido strumento per identificare la prognosi e valutare il rischio di eventi aritmici/scompenso cardiaco nei pazienti affetti da cardiomiopatia. Per questo motivo questa classe di individui necessita un invio repentino presso centri di riferimento dello scompenso cardiaco dotati di strumenti necessari per la stratificazione del rischio al fine di selezionare e perfezionare i trattamenti terapeutici.

Bibliografia

  1. Seferović PM, Polovina M, Bauersachs J, et al. Heart failure in cardiomyopathies: a position paper from the Heart Failure Association of the European Society of Cardiology. Eur J Heart Fail 2019;21:553-76.
  2. Guazzi M. Cardiopulmonary exercise testing and risk stratification in heart failure with reduced, midrange or preserved ejection fraction: when nomenclature may not match with pathophysiology. Eur J Prev Cardiol 2018;25:392-94.
  3. Sinagra G, Iorio A, Merlo M, et al. Prognostic value of cardiopulmonary exercise testing in Idiopathic Dilated Cardiomyopathy. Int J Cardiol 2016;223:596-603. 
  4. Magrì D, Santolamazza C. Cardiopulmonary exercise test in hypertrophic cardiomyopathy. Ann Am Thorac Soc 2017;14:S102-9. 
  5. Sayegh ALC, dos Santos MR, de Oliveira P, et al. Characterization of cardiopulmonary exercise testing variables in patients with endomyocardial fibrosis after endocardial resection. Arq Bras Cardiol 2017;109:533-40.