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Viene spesso sottolineato come i disturbi respiratori nel sonno (DRS) siano un fattore di rischio per malattie cardiovascolari e metaboliche croniche, come l’ipertensione e il diabete mellito di tipo 2, nonché per un aumento di mortalità nel lungo termine. Meno spesso si parla della possibilità che essi diano luogo a gravi immediate conseguenze, come scompenso cardiorespiratorio acuto o morte improvvisa. Questi eventi sono molto rari in pazienti con DRS di grado lieve o moderato, ma possono verificarsi più facilmente in soggetti con comorbilità o con DRS particolarmente gravi. In pazienti in condizioni critiche i DRS possono rimanere misconosciuti, specie quando l’attenzione è concentrata su altre gravi malattie coesistenti. Il loro riconoscimento può invece essere molto importante perché può influire sulle scelte terapeutiche ed avere un’importanza determinante per la sopravvivenza.

L’articolo di Carr e coll. riconosce che ci sono pochi studi specifici sulle gravi complicanze acute dei DRS, spesso incentrati su case reports o su casistiche molto piccole e retrospettive. Traccia poi con chiarezza le vie attraverso le quali i DRS possono precipitare le situazioni più gravi.

Gli autori propongono inizialmente uno schema che illustra come per il mantenimento del compenso respiratorio nell’OSA sia essenziale che vi sia un equilibrio tra carico respiratorio da una parte, e drive respiratorio e forza muscolare dall’altra. Dopo l’apnea, centri respiratori normalmente reattivi e muscoli respiratori capaci di far fronte ad un elevato carico di lavoro assicurano il ripristino delle normali tensioni gassose arteriose in pochi secondi. Un aumento del carico respiratorio (quale si può avere ad esempio nella BPCO oppure nell’obesità), una riduzione della forza muscolare (ad esempio, per la presenza di malattie neuromuscolari) o una riduzione del drive (come dopo assunzione di alcuni anestetici o sedativi, o dopo prolungata e grave deprivazione di sonno) possono impedire di riportare alla norma i gas arteriosi dopo l’apnea. Meccanismi di questo tipo sono stati da molto tempo chiamati in causa come fattori predisponenti ad una lenta comparsa di ipercapnia diurna nei pazienti con OSA. Gli autori di questo articolo ci ricordano che essi possono entrare in gioco anche per la comparsa di scompenso respiratorio acuto o per la riacutizzazione di un’insufficienza respiratoria cronica.

Nell'OSA la somministrazione di farmaci ad azione depressiva sui centri respiratori, ad esempio nel periodo che segue un intervento chirurgico, può innescare uno scompenso respiratorio acuto; il rischio può essere ancora maggiore in caso di grave privazione di sonno, non rara in unità di terapia intensiva. Nei soggetti con BPCO, l'OSA, quando presente, si inserisce in un contesto di funzione respiratoria già alterata favorendo non soltanto la comparsa di insufficienza respiratoria cronica ipercapnica, ma anche un aumento della mortalità, probabilmente dovuto ad una maggiore propensione a riacutizzazioni della malattia polmonare. Nei soggetti obesi l'OSA è spessissimo presente, e talvolta si associa ad ipercapnia nel contesto di una sindrome obesità-ipoventilazione (OHS); anche l'OHS è associata ad un’elevata mortalità, probabilmente perché in essa l’insufficienza respiratoria può peggiorare rapidamente anche per eventi scatenanti apparentemente banali, come assunzione di dosi relativamente piccole di farmaci ad azione depressiva sui centri respiratori, o lievi incrementi dell’ostruzione bronchiale. In soggetti con un improvviso peggioramento del compenso respiratorio, specie se affetti da BPCO o da grave obesità, andrebbe presa in considerazione l’ipotesi della presenza di un'OSA.

Gli sforzi inspiratori, l’ipossia, l’ipertono simpatico sono tra i principali responsabili di alterazioni della funzione cardiaca nell’OSA. Queste si instaurano di solito in modo lento e graduale, ma a volte progrediscono rapidamente verso uno scompenso acuto a causa di ischemia acuta del miocardio durante l’apnea o di aritmie. Questa evenienza si può verificare maggiormente in soggetti con insufficienza cardiaca cronica, nei quali, al pari che nei pazienti con insufficienza respiratoria cronica, un’improvvisa riacutizzazione può far sospettare la presenza di OSA. Sono descritti anche rari casi di edema polmonare acuto senza preesistente insufficienza ventricolare sinistra, probabilmente conseguenza dello sviluppo di pressioni intratoraciche fortemente negative durante le apnee.

Nei pazienti con OSA vi è una maggiore incidenza di morte improvvisa nelle ore notturne. Si sospetta che gravi aritmie cardiache innescate da apnee possano essere causa di alcune morti improvvise. Sono stati inoltre documentati alcuni casi di arresto cardiorespiratorio come conseguenza di apnee particolarmente prolungate (fino anche a 3 minuti) verosimilmente per un’alterazione dei meccanismi che interrompono l’apnea.

Gli autori terminano il loro articolo con alcune raccomandazioni sulla terapia dei pazienti andati incontro a scompenso cardiorespiratorio acuto in cui si sospetti la presenza di DRS. In questi pazienti un trattamento ventilatorio andrebbe messo in atto rapidamente, possibilmente anche sulla scorta di rilevazioni della funzione respiratoria notturna. Alla risoluzione dello stato di acuzie il trattamento dei DRS non va immediatamente sospeso: occorre invece verificare quale evoluzione i DRS abbiano subito col miglioramento del quadro clinico e rimodulare il loro trattamento, proseguendolo poi cronicamente anche nell’intento di prevenire possibili nuove riacutizzazioni.