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I Disturbi Respiratori durante il Sonno (DRS) sono in aumento nella popolazione generale in termini sia di incidenza che di prevalenza. In effetti, la sindrome delle apnee ostruttive durante il sonno (Obstructive Sleep Apnea, OSA), sicuramente la forma più comune di DRS, è stimata essere presente, nella forma moderata/grave nel 17% degli uomini e nel 9% per le donne di età compresa tra 50 e 70 anni (1). Da molti anni inoltre è stata dimostrata una associazione indipendente fra DRS e malattie cardiovascolari, tra cui ipertensione, cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca e fibrillazione atriale (1). La fisiopatologia dell’OSA è in grado di spiegare molto bene questa associazione: durante l’apnea ostruttiva si verifica infatti tutta una serie di meccanismi intermedi di danno cardiovascolare quali oscillazioni della pressione intratoracica, ipossiemia intermittente, rapida rivascolarizzazione tessutale, incremento della attività simpatica e frammentazione della microstruttura ipnica, che rendono plausibile il nesso causa/effetto fra OSA e malattie cardiovascolari. Se questa associazione causale non è messa in dubbio, esistono tuttavia risultati contrastanti sulla efficacia del trattamento dei DRS (in particolare con pressione positiva continua delle vie aeree, CPAP) nel ridurre il rischio di eventi cardiovascolari nei termini della prevenzione secondaria. In particolare alcuni lavori, come lo studio SERVE-HF (2) e lo studio SAVE (3) negli ultimi anni hanno messo in discussione l’efficacia della terapia CPAP nel migliorare la sopravvivenza in soggetti con scompenso cardiaco cronico e apnee centrali (2) e in soggetti con malattie cardiovascolari e apnee ostruttive (3).
La questione è stata analizzata in una recente review da parte di Linz e coll. pubblicata sul numero di dicembre 2018 dell’International Journal of Cardiology e una spiegazione avanzata dagli Autori è che probabilmente in parte ciò potrebbe dipendere dal modo in cui viene diagnosticata e valutata la gravità dei DRS. In effetti lo strumento standard per la diagnosi la valutazione di gravità dei DRS è l'indice di apnea-ipopnea (Apnea-Hypopnea Index, AHI) che rappresenta il numero medio di apnee più ipopnee per ora di sonno (o per ora di sonno stimato se viene utilizzato nei sistemi di monitoraggio cardiorespiratorio privi di registrazione EEG).
Ora, l’AHI è molto familiare, ampiamente diffuso e facile da usare, ma ha molte limitazioni. Prima fra tutte è la mancanza di quantificazione dell’ipossiemia. L’AHI conta semplicemente il numero di apnee più ipopnee senza incorporare informazioni sulla durata o sulla gravità delle desaturazioni ossiemoglobiniche. Tuttavia è proprio l’ipossiemia che è correlata strettamente allo stress emodinamico e che ha conseguenze cardiovascolari molto ben note e documentate. Inoltre, l’AHI può variare in base alla definizione di ipopnee utilizzata: definizioni differenti degli eventi ipopneici (associati a desaturazioni del 3% o del 4%) possono portare a scoring completamente differenti e quindi a valori AHI significativamente distanti. Infine l’AHI non tiene conto dell’architettura del sonno (ovvero se gli eventi si verificano durante il sonno REM o NREM) e non tiene conto della durata degli eventi o della entità della frammentazione del sonno, sia micro- che macrostrutturale. Tuttavia sappiamo che le alterazioni della struttura ipnica sono associate direttamente con l’iperattivazione simpatica diurna e dunque con uno dei fattori di rischio cardiovascolare più importanti.
Le grandi oscillazioni nella pressione intratoracica, osservate nell’OSA, possono produrre un elevato postcarico sul ventricolo sinistro, aprire un forame ovale pervio, o produrre variazioni cicliche nella dimensione atriale, nessuno dei quali è rappresentato dall’AHI, ma tutti estremamente determinanti e concorrenti all’entità dei danni cardiovascolari.
In considerazione di queste e altre osservazioni critiche sull’indice AHI, Linz e coll. sostengono nella loro review la necessità di superare la definizione semplicistica di gravità dei DRS basata sull’AHI soprattutto nei pazienti cardiopatici considerando ad esempio il concetto di “paziente suscettibile”. A tutt’oggi infatti non è chiaro quali circostanze cliniche e comorbilità rendono un paziente maggiormente vulnerabile agli effetti avversi dei DRS.
E’ noto che AHI ed eccessiva sonnolenza diurna, soprattutto nel paziente cardiopatico, sono scarsamente correlate fra loro e che pazienti con fibrillazione atriale hanno un’alta prevalenza di OSA, ma non sonnolenza diurna. Ma è anche recentemente emerso in un recente lavoro del 2018 (4) che in una coorte di pazienti con esiti di infarto miocardico, a parità di AHI, l’eccessiva sonnolenza diurna era riconosciuta come il più importante predittore indipendente di futuri eventi cardiaci.
In conclusione secondo l’analisi di Linz e coll. nella popolazione cardiologica l’AHI non è sufficiente per riflettere correttamente le caratteristiche cliniche del paziente con DRS e per poter decidere l’approccio terapeutico più adeguato.
Il peso della ipossiemia, la precisa sub-classificazione degli eventi respiratori e la loro variabilità inter-notte, così come la frammentazione ipnologica, sono tutti fattori che di fatto finiscono con il contribuire alla disomogeneità non-misurata di potenziali covariate e che possono rendere conto delle discrepanze osservate nei trial terapeutici condotti.
Gli Autori concludono rilanciando un appello alla necessità di una urgente revisione della valutazione dei DRS nei pazienti cardiopatici che superi il dato grezzo dell’AHI: una revisione che sia in particolare capace di ridefinire i marker più rilevanti ai fini diagnostici e di severità della malattia e che sia peraltro in grado di incorporare come valore aggiunto il quadro “sonnologico” nella valutazione dei DRS anche nell’ottica di outcome indispensabile.
 

Bibliografia

  1. Yu J, Zhou Z, McEvoy RD, et al. Association of positive airway pressure with cardiovascular events and death in adults with sleep apnea: a systematic review and meta-analysis. JAMA 2017;318:156-66.
  2. Cowie MR, Woehrle H, Wegscheider K, et al. Adaptive servo-ventilation for central sleep apnea in systolic heart failure. N Engl J Med 2015;373:1095-105.
  3. McEvoy RD, Antic NA, Heeley E, et al.; SAVE Investigators and Coordinators. CPAP for prevention of cardiovascular events in obstructive sleep apnea. N Engl J Med 2016;375:919-31.
  4. Xie J, Sert Kuniyoshi FH, Covassin N, et al. Excessive daytime sleepiness independently predicts increased cardiovascular risk after myocardial infarction, J Am Heart Assoc 2018;7. pii: e007221.