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E’ ormai accettato che l’OSA è un fattore di rischio per la comparsa di ipertensione arteriosa. Vari studi hanno anche confermato che esiste un rapporto tra gravità dei disturbi respiratori nel sonno e rischio di ipertensione, mettendo in luce di volta in volta che il rischio si correla prevalentemente alla frequenza dei disturbi respiratori, a quella delle desaturazioni o alla gravità dell’ipossiemia notturna (1,2). Lo studio di Mokhlesi e coll. analizza se la frequenza dei disturbi respiratori misurata nel solo sonno REM (AHI-REM) si correli alla prevalenza e all’incidenza di ipertensione.
Il lavoro è stato condotto su 1451 soggetti appartenenti alla Wisconsin Sleep Cohort, sottoposti ciascuno ad un numero variabile di polisonnografie eseguite approssimativamente ogni quattro anni in un arco di tempo massimo di 24 anni. In tutti questi soggetti l’ipertensione è stata classificata sulla base di misurazioni di valori pressori ≥140/90 mmHg eseguite in occasione delle polisonnografie, o di un dato anamnestico di terapia antipertensiva in corso (“ipertensione clinica”). Inoltre, in un sottogruppo di 742 soggetti in cui è stata eseguito anche il monitoraggio intermittente della pressione arteriosa nelle 24 ore (ABPM) l’ipertensione è stata anche identificata come pressione media in veglia 135/85 mmHg (“ipertensione ABPM”). L’analisi statistica è stata condotta sia sull’intero campione (1451 soggetti, di cui 742 con rilevazioni ABPM, sottoposti a 4385 polisonnografie), sia sui soli soggetti con una frequenza di disturbi respiratori nel sonno non-REM (AHI-NREM) ≤5 (1216 soggetti, di cui 572 con rilevazioni ABPM, sottoposti a 2953 polisonnografie).
L’analisi trasversale mostrava una significativa associazione dei valori più alti di AHI-REM con l’ipertensione clinica nell’intero campione, e con l’ipertensione ABPM nel gruppo con AHI- NREM ≤5. L’AHI-NREM ed il grado di sonnolenza valutato con la scala di Epworth non si associavano in nessun modo alla prevalenza dell’ipertensione, come pure la percentuale di sonno REM trascorsa in ipossia: però, un’analisi della saturazione ossiemoglobinica era disponibile solo in meno della metà delle polisonnografie. L’analisi longitudinale confermava l’importanza dell’AHI-REM mostrando una maggiore incidenza di nuovi casi di ipertensione nei soggetti con AHI-REM più elevati, sia includendo sia escludendo dall’analisi i soggetti con AHI-NREM >5.
Rispetto alla popolazione di pazienti con OSA che osserviamo nei nostri laboratori, la popolazione della Wisconsin Sleep Cohort presenta importanti differenze: ad esempio, i valori di AHI-NREM erano elevati in ben pochi soggetti, e l’ipossia nel sonno non-REM era in media molto modesta. Quindi non si può escludere che disturbi respiratori nel sonno non-REM più gravi possano avere conseguenze che in questo studio non è stato possibile osservare. Tuttavia, l’associazione dell’AHI-REM con l’ipertensione si osservava nonostante anche nel sonno REM l’ipossia non fosse particolarmente grave, soprattutto nel gruppo dei soggetti con AHI-NREM ≤5. Il ruolo dell’ipossia non è però ben definibile da questo studio perché l’analisi dei valori di saturazione è stata eseguita solo su una minoranza di soggetti. In ogni caso, l’importanza del lavoro non sta tanto nel negare il ruolo dei disturbi respiratori nel sonno non-REM, quanto nel sottolineare quello dei disturbi nel sonno REM.
Il motivo per cui le apnee del sonno REM possano essere maggiormente responsabili di ipertensione non è chiaro. Gli autori ricordano che i disturbi respiratori nel sonno REM si associano ad attivazione simpatica e a turbe emodinamiche maggiori che nel sonno non-REM, imponendo un maggior rischio cardiovascolare.
L’interesse clinico verso questo lavoro deriva dal fatto che nella pratica abituale si tende a diagnosticare l’OSA, e a valutare la necessità di un suo trattamento, tenendo conto innanzitutto della frequenza media dei disturbi respiratori in tutto il sonno: in questo modo, possono classificarsi come non affetti da OSA, o comunque non meritevoli di trattamento, soggetti con disturbi respiratori limitati al sonno REM, specie se questo, durante il test diagnostico, ha una durata limitata. L’articolo suggerisce che questa pratica potrebbe essere inappropriata, mentre l’AHI-REM potrebbe essere preso in considerazione tra i marker di rischio nei soggetti con disturbi respiratori nel sonno. Ad essere interessate da questo aspetto sarebbero soprattutto le donne, perché è fra queste che sono più frequenti i casi di apnee limitate al sonno REM.
Una seconda implicazione pratica del lavoro è che un uso della CPAP per il trattamento dell’OSA limitato alle prime ore della notte potrebbe essere poco utile al fine di ridurre la pressione arteriosa, poiché il sonno REM tende a prevalere nelle ore finali della notte. Recentemente alcuni studi su soggetti con OSA che avevano un’ipertensione farmaco-resistente (3) o che erano ipertesi ma non sonnolenti (4) hanno suggerito che una riduzione della pressione arteriosa col trattamento mediante CPAP possa verificarsi solo con un’elevata compliance alla terapia: un’insufficiente correzione delle apnee nel sonno REM nei soggetti che utilizzavano la CPAP solo nelle prime ore della notte potrebbe contribuire ad interpretare queste osservazioni.

Bibliografia
1-    Nieto FJ, Young TB, Lind BK, et al. Association of sleep-disordered breathing, sleep apnea, and hypertension in a large community-based study. JAMA 2000;283:1829-36.
2-    Tkacova R, McNicholas WT, Javorsky M, et al., on behalf of the European Sleep Apnoea Database collaborators. Nocturnal intermittent hypoxia predicts prevalent hypertension in the European Sleep Apnoea Database cohort study. Eur Respir J 2014;44:931–41.
3-    Lozano L, Tovar JL, Sampol G, et al. Continuous positive airway pressure treatment in sleep apnea patients with resistant hypertension: a randomized, controlled trial. J Hypertens 2010;28:2161–8.
4-    Bratton DJ, Stradling JR, Barbé F, Kohler M. Effect of CPAP on blood pressure in patients with minimally symptomatic obstructive sleep apnoea: a meta-analysis using individual patient data from four randomised controlled trials. Thorax 2014;69:1128-35